Via la Divina Commedia dalle scuole.
Ovvero razzismo istituzionale mascherato da arte.
Articolo pubblicato su Gherush92.

Oggi esiste una recrudescenza di antisemitismo e di razzismo. Ebrei, Rom, immigrati, mussulmani, omosessuali avvertono e vivono una condizione di pericolo. Il razzismo non è mai stato veramente sradicato e viene trasmesso persino nelle scuole.
Le scuole, comprese quelle ebraiche ed islamiche, adottano i programmi ministeriali e il problema è la cospicua presenza di contenuti antisemiti e razzisti nelle opere letterarie, artistiche, storiche e filosofiche. Vengono insegnati testi antisemiti, sia nella forma che nel contenuto, sia nel lessico che nella sostanza, senza che vi sia alcun filtro o che vengano fornite considerazioni critiche rispetto all’antisemitismo e al razzismo. Un esempio emblematico è la Divina Commedia, caposaldo della letteratura italiana.
La costruzione architettonica dell’Inferno scaturisce dalla caduta di Lucifero sulla terra che provoca una voragine. L’ultimo cerchio (il Cocito), riservato ai traditori, è costituito da quattro zone: la Caina, l’Antenora, la Tolomea, la Giudecca dove sono rispettivamente puniti i traditori dei parenti, della patria, degli ospiti e dei benefattori. La zona più profonda, destinata ai peccatori più spregevoli e aberranti, è chiamata la Giudecca dall’ebreo Giuda Iscariota (da cui potrebbe provenire la parola sicario), neiVangeli “ladro”, “diavolo”, “traditore”, “cospiratore” insieme ai Farisei e agli Scribi e colpevole di deicidio. Giuda si trova in una delle tre bocche di Lucifero, quella centrale, posta nella “faccia vermiglia” che rappresenta l’odio e l’invidia, attributi contrari al “primo amore”, una delle caratteristiche della Trinità. Giuda, traditore di Gesù e della chiesa, diversamente da Bruto e Cassio condannati quali traditori dell’impero, non solo viene maciullato nelle fauci di Lucifero, con il capo dentro la bocca e le gambe che penzolano fuori, ma è scuoiato a sangue, essendo la sua colpa più grave di quella dei suoi compagni di pena.
“Da ogne bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.
«Quell’anima là sù c’ha maggior pena»,
disse ’l maestro, «è Giuda Scariotto,
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.”
(Inf. XXXIV, 54-63)
Il canto XXXIV è una tappa obbligata di studio e gli allievi delle scuole ebraiche non sono certo esonerati dal programma. Il personaggio e il termine Giuda e giudeo sono parte integrante della cultura cristiana: “Giuda per antonomasia è persona falsa, traditore (da Giuda, nome dell’apostolo che tradì Gesù)”; “giudeo è termine comune dispregiativo secondo un antico pregiudizio antisemita che indica chi è avido di denaro, usuraio, persona infida, traditore” (De Mauro, Il dizionario della lingua italiana). Il significato negativo di giudeo è esteso a tutto il popolo ebraico. Il Giuda dantesco è la rappresentazione del Giuda dei Vangeli, fonte dell’antisemitismo. Studiando la Divina Commedia i giovani ebrei sono costretti, senza filtri e spiegazioni, ad apprezzare un’opera che calunnia il popolo ebraico; essi imparano a convalidarne il messaggio di condanna antisemita, reiterato ancora oggi nelle messe, nelle omelie, nei sermoni e nelle prediche e costato al popolo ebraico dolori e lutti.
Nel canto XXIII Dante punisce il Sinedrio che, secondo i cristiani, complottò contro Gesù; i cospiratori, Caifas sommo sacerdote, Anna e i Farisei, subiscono tutti la stessa pena, diversa però da quella del resto degli ipocriti: per contrappasso Caifas è nudo e crocefisso a terra, in modo che ogni altro dannato fra gli ipocriti lo calpesti. “Con Caifas, e puniti allo stesso modo, stanno in questa bolgia Anna, suocero di lui e pontefice, e tutti gli altri che ebbero parte in quel concilio, che fu mala sementa per gli ebrei, poiché né derivò, come giusta vendetta di dio, la distruzione di Gerusalemme compiuta da Tito e la dispersione e la rovina di tutto il popolo giudaico” (N. Sapegno).
“Io cominciai: «O frati, i vostri mali...»;
ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse
un crucifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,
mi disse: «Quel confitto che tu miri,
consigliò i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a’ martìri.
Attraversato è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch’el senta
qualunque passa, come pesa, pria.
E a tal modo il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio
che fu per li Giudei mala sementa».
Allor vid’io maravigliar Virgilio
sovra colui ch’era disteso in croce
tanto vilmente ne l’etterno essilio.” (Inf. XXIII, 109-126)
Nel canto V del Paradiso leggiamo:
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogne vento,
e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.
Avete il novo e ‘l vecchio Testamento,
e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida! (Par. V, 73-81)
Questi versi, un’anticipazione delle legge razziali di epoca fascista (Arre), introducono i Protocolli dei Savi Anziani di Sion di Nylus, noto libercolo antisemita che trattò il “Pericolo Ebraico” e provocò persecuzioni e rovina degli Ebrei in Russia e in tutta Europa.
Nel canto XXVIII dell’Inferno Dante descrive le orrende pene che soffrono i seminatori di discordie, cioè coloro che in vita hanno operato lacerazioni politiche, religiose e familiari. Maometto è uno scismatico e l’Islam è una eresia. Al Profeta è riservata una pena atroce: il suo corpo è spaccato dal mento al deretano in modo che le budella gli pendono dalle gambe, immagine che insulta la cultura islamica. Alì, successore di Maometto, invece, ha la testa spaccata dal mento ai capelli:
Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com' io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.
Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e 'l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.
Mentre che tutto in lui veder m'attacco,
guardommi e con le man s'aperse il petto,
dicendo: "Or vedi com' io mi dilacco!
vedi come storpiato è Mäometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
E tutti li altri che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
fuor vivi, e però son fessi così. (Inf. XXVIII, 22-36)
L’offesa è resa più evidente perché il corpo “rotto” e “storpiato” di Maometto è paragonato ad una botte rotta, oggetto che contiene il vino, interdetto dalla tradizione islamica. Nella descrizione di Maometto vengono impiegati termini volgari e immagini raccapriccianti tanto che nella traduzione in arabo della Commedia del filologo Hassan Osman sono stati omessi i versi considerati un’offesa.
Anche i sodomiti, cioè coloro che ebbero rapporti "contro natura", sono puniti nell’Inferno:
D’anime nude vidi molte gregge
che piangean tutte assai miseramente,
e parea posta lor diversa legge.
Supin giacea in terra alcuna gente,
alcuna si sedea tutta raccolta,
e altra andava continüamente.
Quella che giva ’ntorno era più molta,
e quella men che giacëa al tormento,
ma più al duolo avea la lingua sciolta.
Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,
piovean di foco dilatate falde,
come di neve in alpe sanza vento. (Inf. XIV, v.19-30)
I sodomiti, i peccatori più numerosi del girone, sono descritti mentre corrono sotto una pioggia di fuoco, condannati a non fermarsi. Nel Purgatorio i sodomiti riappaiono, nel canto XXVI, insieme ai lussuriosi eterosessuali.
Esiste una sorta di “negazionismo” che nega i contenuti razzisti nei programmi scolastici: la bellezza, secondo i canoni occidentali, tiranneggia qualsiasi messaggio e opere come la Commedia, acclamata come capolavoro dell’umanità, benché esprima inequivocabilmente contenuti razzisti, viene valutata per il suo valore estetico e simbolico. La Commedia è considerata opera di indiscusso valore universale, con buona pace degli studenti e dei professori ebrei ed islamici e della loro identità violata.
E’ uno scandalo che i ragazzi, in particolare ebrei e mussulmani, siano costretti a studiare opere razziste come la Divina Commedia, che nell’ invocata arte nasconde ogni nefandezza. Antisemitismo, islamofobia, antiromani, razzismo devono essere combattuti cercando un alleanza fra le vittime storiche del razzismo proprio su temi e argomenti condivisi come la diversità culturale.
La continuazione di insegnamenti di questo genere rappresenta una violazione dei diritti umani e la evidenziazione della natura razzista e antisemita del nostro paese di cui il cristianesimo costituisce l’anima. Le persecuzioni antiebraiche sono la conseguenza dell’antisemitismo cristiano che ha il suo fondamento nei Vangeli e nelle opere che ad esso si ispirano, come la Divina Commedia. Deve essere messo in evidenza il legame culturale e tecnico-operativo con i vari tentativi di esclusione e di sterminio, fino alla Shoah. Certamente la Divina Commedia ha ispirato i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, le leggi razziali e la soluzione finale.
Chiediamo, pertanto, al Ministro della Pubblica Istruzione, ai Rabbini e ai Presidi delle scuole ebraiche, islamiche ed altre di espungere la Divina Commedia dai programmi scolastici ministeriali o almeno di inserire i necessari commenti e chiarimenti.
Che dire ? "Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo all'universo ho ancora dei dubbi." diceva Albert Einstein precisando meglio il suo pensiero altrove: " I grandi spiriti hanno sempre trovato la violenta opposizione dei mediocri."
gdg
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Le scuole, comprese quelle ebraiche ed islamiche, adottano i programmi ministeriali e il problema è la cospicua presenza di contenuti antisemiti e razzisti nelle opere letterarie, artistiche, storiche e filosofiche. Vengono insegnati testi antisemiti, sia nella forma che nel contenuto, sia nel lessico che nella sostanza, senza che vi sia alcun filtro o che vengano fornite considerazioni critiche rispetto all’antisemitismo e al razzismo. Un esempio emblematico è la Divina Commedia, caposaldo della letteratura italiana.
La costruzione architettonica dell’Inferno scaturisce dalla caduta di Lucifero sulla terra che provoca una voragine. L’ultimo cerchio (il Cocito), riservato ai traditori, è costituito da quattro zone: la Caina, l’Antenora, la Tolomea, la Giudecca dove sono rispettivamente puniti i traditori dei parenti, della patria, degli ospiti e dei benefattori. La zona più profonda, destinata ai peccatori più spregevoli e aberranti, è chiamata la Giudecca dall’ebreo Giuda Iscariota (da cui potrebbe provenire la parola sicario), neiVangeli “ladro”, “diavolo”, “traditore”, “cospiratore” insieme ai Farisei e agli Scribi e colpevole di deicidio. Giuda si trova in una delle tre bocche di Lucifero, quella centrale, posta nella “faccia vermiglia” che rappresenta l’odio e l’invidia, attributi contrari al “primo amore”, una delle caratteristiche della Trinità. Giuda, traditore di Gesù e della chiesa, diversamente da Bruto e Cassio condannati quali traditori dell’impero, non solo viene maciullato nelle fauci di Lucifero, con il capo dentro la bocca e le gambe che penzolano fuori, ma è scuoiato a sangue, essendo la sua colpa più grave di quella dei suoi compagni di pena.
“Da ogne bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla.
«Quell’anima là sù c’ha maggior pena»,
disse ’l maestro, «è Giuda Scariotto,
che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.”
(Inf. XXXIV, 54-63)
Il canto XXXIV è una tappa obbligata di studio e gli allievi delle scuole ebraiche non sono certo esonerati dal programma. Il personaggio e il termine Giuda e giudeo sono parte integrante della cultura cristiana: “Giuda per antonomasia è persona falsa, traditore (da Giuda, nome dell’apostolo che tradì Gesù)”; “giudeo è termine comune dispregiativo secondo un antico pregiudizio antisemita che indica chi è avido di denaro, usuraio, persona infida, traditore” (De Mauro, Il dizionario della lingua italiana). Il significato negativo di giudeo è esteso a tutto il popolo ebraico. Il Giuda dantesco è la rappresentazione del Giuda dei Vangeli, fonte dell’antisemitismo. Studiando la Divina Commedia i giovani ebrei sono costretti, senza filtri e spiegazioni, ad apprezzare un’opera che calunnia il popolo ebraico; essi imparano a convalidarne il messaggio di condanna antisemita, reiterato ancora oggi nelle messe, nelle omelie, nei sermoni e nelle prediche e costato al popolo ebraico dolori e lutti.
Nel canto XXIII Dante punisce il Sinedrio che, secondo i cristiani, complottò contro Gesù; i cospiratori, Caifas sommo sacerdote, Anna e i Farisei, subiscono tutti la stessa pena, diversa però da quella del resto degli ipocriti: per contrappasso Caifas è nudo e crocefisso a terra, in modo che ogni altro dannato fra gli ipocriti lo calpesti. “Con Caifas, e puniti allo stesso modo, stanno in questa bolgia Anna, suocero di lui e pontefice, e tutti gli altri che ebbero parte in quel concilio, che fu mala sementa per gli ebrei, poiché né derivò, come giusta vendetta di dio, la distruzione di Gerusalemme compiuta da Tito e la dispersione e la rovina di tutto il popolo giudaico” (N. Sapegno).
“Io cominciai: «O frati, i vostri mali...»;
ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse
un crucifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,
mi disse: «Quel confitto che tu miri,
consigliò i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a’ martìri.
Attraversato è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch’el senta
qualunque passa, come pesa, pria.
E a tal modo il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio
che fu per li Giudei mala sementa».
Allor vid’io maravigliar Virgilio
sovra colui ch’era disteso in croce
tanto vilmente ne l’etterno essilio.” (Inf. XXIII, 109-126)
Nel canto V del Paradiso leggiamo:
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogne vento,
e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.
Avete il novo e ‘l vecchio Testamento,
e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
uomini siate, e non pecore matte,
sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida! (Par. V, 73-81)
Questi versi, un’anticipazione delle legge razziali di epoca fascista (Arre), introducono i Protocolli dei Savi Anziani di Sion di Nylus, noto libercolo antisemita che trattò il “Pericolo Ebraico” e provocò persecuzioni e rovina degli Ebrei in Russia e in tutta Europa.
Nel canto XXVIII dell’Inferno Dante descrive le orrende pene che soffrono i seminatori di discordie, cioè coloro che in vita hanno operato lacerazioni politiche, religiose e familiari. Maometto è uno scismatico e l’Islam è una eresia. Al Profeta è riservata una pena atroce: il suo corpo è spaccato dal mento al deretano in modo che le budella gli pendono dalle gambe, immagine che insulta la cultura islamica. Alì, successore di Maometto, invece, ha la testa spaccata dal mento ai capelli:
Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com' io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.
Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e 'l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.
Mentre che tutto in lui veder m'attacco,
guardommi e con le man s'aperse il petto,
dicendo: "Or vedi com' io mi dilacco!
vedi come storpiato è Mäometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
E tutti li altri che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
fuor vivi, e però son fessi così. (Inf. XXVIII, 22-36)
L’offesa è resa più evidente perché il corpo “rotto” e “storpiato” di Maometto è paragonato ad una botte rotta, oggetto che contiene il vino, interdetto dalla tradizione islamica. Nella descrizione di Maometto vengono impiegati termini volgari e immagini raccapriccianti tanto che nella traduzione in arabo della Commedia del filologo Hassan Osman sono stati omessi i versi considerati un’offesa.
Anche i sodomiti, cioè coloro che ebbero rapporti "contro natura", sono puniti nell’Inferno:
D’anime nude vidi molte gregge
che piangean tutte assai miseramente,
e parea posta lor diversa legge.
Supin giacea in terra alcuna gente,
alcuna si sedea tutta raccolta,
e altra andava continüamente.
Quella che giva ’ntorno era più molta,
e quella men che giacëa al tormento,
ma più al duolo avea la lingua sciolta.
Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,
piovean di foco dilatate falde,
come di neve in alpe sanza vento. (Inf. XIV, v.19-30)
I sodomiti, i peccatori più numerosi del girone, sono descritti mentre corrono sotto una pioggia di fuoco, condannati a non fermarsi. Nel Purgatorio i sodomiti riappaiono, nel canto XXVI, insieme ai lussuriosi eterosessuali.
Esiste una sorta di “negazionismo” che nega i contenuti razzisti nei programmi scolastici: la bellezza, secondo i canoni occidentali, tiranneggia qualsiasi messaggio e opere come la Commedia, acclamata come capolavoro dell’umanità, benché esprima inequivocabilmente contenuti razzisti, viene valutata per il suo valore estetico e simbolico. La Commedia è considerata opera di indiscusso valore universale, con buona pace degli studenti e dei professori ebrei ed islamici e della loro identità violata.
E’ uno scandalo che i ragazzi, in particolare ebrei e mussulmani, siano costretti a studiare opere razziste come la Divina Commedia, che nell’ invocata arte nasconde ogni nefandezza. Antisemitismo, islamofobia, antiromani, razzismo devono essere combattuti cercando un alleanza fra le vittime storiche del razzismo proprio su temi e argomenti condivisi come la diversità culturale.
La continuazione di insegnamenti di questo genere rappresenta una violazione dei diritti umani e la evidenziazione della natura razzista e antisemita del nostro paese di cui il cristianesimo costituisce l’anima. Le persecuzioni antiebraiche sono la conseguenza dell’antisemitismo cristiano che ha il suo fondamento nei Vangeli e nelle opere che ad esso si ispirano, come la Divina Commedia. Deve essere messo in evidenza il legame culturale e tecnico-operativo con i vari tentativi di esclusione e di sterminio, fino alla Shoah. Certamente la Divina Commedia ha ispirato i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, le leggi razziali e la soluzione finale.
Chiediamo, pertanto, al Ministro della Pubblica Istruzione, ai Rabbini e ai Presidi delle scuole ebraiche, islamiche ed altre di espungere la Divina Commedia dai programmi scolastici ministeriali o almeno di inserire i necessari commenti e chiarimenti.
Che dire ? "Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo all'universo ho ancora dei dubbi." diceva Albert Einstein precisando meglio il suo pensiero altrove: " I grandi spiriti hanno sempre trovato la violenta opposizione dei mediocri."
gdg
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21 ottobre, il giorno della fine del mondo.

21 ottobre, il giorno della fine del mondo
Qual è l'ultima cosa che fareste?
Ancora poche ore e, se il profeta Harold Camping ci ha azzeccato, il mondo finirà. D'accordo, quando l'aveva annunciata per il 6 settembre 1994 non ci ha preso troppo, ma chi di noi può dirsi sicuro al 100% che mister Campeggio si sbaglierà di nuovo? Tra l'altro, c'è un problema non marginale: il mondo (dice il presidente del network radiofonico-religioso Family Stations) finirà il 21 ottobre, probabilmente per intervento di un gigantesco terremoto globale (ricevuto, abitanti di Roma? Il nubifragio non c'entra).
D'accordo, ma tutto questo a che ora? Perché se (ad esempio) fosse per le 9 del mattino di Sydney, Australia, a noi italiani resterebbe pochissimo tempo. Viceversa, se l'appuntamento fosse per le 15 in California, sede della residenza di Harold Camping, non ci sarebbe da esaltarsi ma almeno fino a mezzanotte del 21 ottobre si può tirare. Resterebbe il tempo per almeno una di queste cose a scelta: noleggiare una Ferrari e non restituirla più; andare a cena (forse è meglio a pranzo) nel ristorante più buono che ci sia; dirle (o dirgli) che in segreto l'abbiamo sempre amata (amato); stare a casa a rivedere il dvd dell'Inter di Mourinho (o del Milan di Sacchi, del Napoli di Maradona, della Juventus di Lippi, della Roma di Liedholm, della Lazio di Eriksson, del Verona di Bagnoli, va beh, il concetto è chiaro); portare i figli al cinema; non fare l'inutile fatica di alzarsi dal letto. Sono solo alcune idee per l'ultimo giorno del mondo. E adesso spazio alle vostre.
Corriere della Sera, 20/10/2011
Si vedano le note alla voce: Questi tempi, quali tempi ? In particolare il breve articolo : Alcune considerazioni sulla fine dei tempi.
gdg
Sono tornate le api ( la poesia è salva ) di Pietro Citati.

Amo moltissimo il miele. Tutto il miele: il miele d’acacia, di castagno, di timo, di trifoglio, di lavanda, di menta, di salvia, di corbezzolo, di tiglio. Non c’è nessun dolce che lo eguagli: o solo, forse (ma non ne sono sicuro), la marmellata d’arancio inglese. Amo l’ape, che mi sembra la figura simbolica centrale della natura: il segno della metamorfosi vivente, che anima e trasforma le cose che ci circondano, e trasforma noi stessi nel corso dei mesi e degli anni. Ma l’ape, a differenza degli uomini, non trasforma ciecamente: non cambia in miele l’erba, la pianta, lo sterco, qualsiasi fiore; in un caso produce il miele d’acacia, nell’altro quello di castagno, nel terzo quello di tiglio.
Come sapeva Omero, l’ape e il miele si possono paragonare soltanto ai grandi poeti e alla grande poesia: Dante era un’ape, Petrarca un’ape, Shakespeare un’ape, Leopardi un’ape. Tutti i poeti, fino ai tempi moderni, l’hanno saputo: scrivere poesia è l’esperienza della liquidità: Pindaro beveva acqua - acqua di una sorgente, acqua dell’oceano, prima di comporre versi. Pindaro e Orazio preferivano il miele. Tutto è liquido, dolce, mobile, amabile nella poesia - anche le cose più tragiche -, perché ha sapore di miele.
Quando possedevo una casa nella campagna toscana, un contadino aveva disposto in fondo al giardino quattro arnie, dove le api secernevano miele di ginestra. Ma non durò a lungo. Vicino al nostro giardino, un orribile commerciante piantò peschi, peri, albicocchi; e per uccidere qualsiasi verme o baco inondò i suoi alberi di pesticidi. Il giardino fu distrutto: nuvole di pesticidi, nere come il fumo del più terribile incendio, penetravano tra le piante, uccidevano i funghi leccini, pioppini, pinaioli, prataioli, che nascevano in ogni luogo, e assassinavano i porcospini, le istrici, le coccinelle, le api, gli uccelli. Lo stesso accadde in tutta l’Italia; e pochi anni fa le api morirono miseramente, e la produzione di miele, in certi luoghi, diminuì del sessanta per cento.
[...]
La ricomparsa delle api e del miele è una notizia che andrebbe data in prima pagina su sei colonne, accanto alle vicende economiche dell’Europa e del mondo, alle quotazioni delle borse, agli avvenimenti in Siria, Arabia Saudita e Palestina.
Corriere della Sera 28/09/2011
Si veda in questo sito :" Le Api del Bernini"
gdg
I Superiori Sconosciuti di Michele Fabbri.
( nell'immagine l'uomo dei boschi ).

Le teorie del complotto che indagano su quel male assoluto rappresentato dalla globalizzazione hanno alle spalle una lunga storia che parte dalle teorizzazioni dell’abate Barruel a fine ‘700, per arrivare agli attuali piani mondialisti.
Un punto di snodo di grande importanza nella formulazione di queste teorie è rappresentato dagli studi che René Guénon ha dedicato all’argomento pubblicando articoli sulla stampa antimassonica, articoli che i lettori moderni possono trovare agevolmente in una ristampa: AA VV, La polémique sur les “Supérieurs Inconnus”, Archè, Milano 2003, pp.208. Il volume comprende anche testi di altri autori che trattavano il tema dei “Superiori Sconosciuti”: Louis Dasté, Gustave Bord, Benjamin Fabre, Charles Nicoullaud, Papus, Paul Copin-Albancelli.
Inoltre esiste uno studio monumentale di Louis de Maistre dedicato all’argomento: L’Énigme René Guénon et les “Supérieurs Inconnus”. L’autore ha effettuato un lavoro di ricerca sulle fonti che utilizzavano gli autori coinvolti nella polemica antimassonica. Le riviste che in Francia portavano avanti questa meritoria battaglia civile erano: La Bastille, La France Antimaçonnique, Mysteria, Revue Internationale des Sociétés Secrétes. Guénon scriveva su queste pubblicazioni con lo pseudonimo di “Le Sphinx”. Il dibattito sui temi in questione era animato principalmente dal mondo cattolico conservatore, ma vi contribuivano anche esoteristi come Guénon, e perfino ex massoni e spiriti laici infastiditi dal settarismo delle logge.
Le discussioni erano spesso imperniate sul tentativo di individuare i “Superiori Sconosciuti”, ovvero i personaggi che tiravano i fili dei burattini all’interno della massoneria, eventualmente tramite “logge coperte”, e che talvolta venivano indicati in persone in carne ed ossa, come Cagliostro o il Conte di Saint Germain, oppure venivano identificati negli ebrei, o nel diavolo stesso o, più verosimilmente, nell’insieme di idee-guida che ispiravano le logiche della sovversione. Si ipotizzava anche che gli “iniziati” avessero la facoltà di riunirsi “in astrale”, ovvero in una dimensione ultraterrena e non corporea nella quale avrebbero avuto modo di coordinare la loro azione sulla società.
Lo spunto per la riflessione nasceva da uno studio di Benjamin Fabre: Franciscus, Eques a capite galeato. Si trattava di un saggio, pubblicato nel 1913, dedicato al marchese di Chefdebien, un alto iniziato che aveva cominciato la sua carriera massonica nella fase preparatoria della Rivoluzione francese per proseguirla sotto l’Impero. Lo studio di Fabre mostrava come Napoleone pensasse di controllare la massoneria introducendo i suoi ufficiali nelle logge, mentre in realtà era la massoneria che controllava l’Imperatore dei Francesi!
Le ricerche mettevano in luce i legami tra le logge francesi e gli “Illuminati di Baviera” di Weishaupt, nonché le ipotesi sul centro di potere ebraico che agiva attraverso la massoneria.
A partire da questi dati comincia la ricerca di Louis de Maistre, che indaga sul problema sempre aperto delle fonti di Guénon, che il filosofo francese lasciava volutamente nell’ombra, sia per affascinare il lettore col suo stile ermetico, sia perché era convinto di esprimere verità tradizionali il cui valore era indipendente dalla personalità di chi le esprimeva. I più ardenti sostenitori di Guénon ritengono che l’opera del pensatore di Blois sia il più importante avvenimento culturale dalla fine del medioevo, ma anche senza arrivare a sostenere questa tesi occorre riconoscere che Guénon è una guida autorevole nel terreno scivoloso della storia occulta.
Guénon negli articoli in questione attaccava la massoneria adeguandosi allo stile delle riviste su cui scriveva, tuttavia in opere successive articolò il suo giudizio sui liberi muratori, criticando le deviazioni moderne delle logge. C’è anche chi ha sostenuto che Guénon sarebbe stato una sorta di cavallo di Troia all’interno del mondo cattolico col compito di diffondere una mentalità più favorevole all’occultismo, ma secondo Louis de Maistre questo giudizio sembra discutibile poiché nel complesso la critica alla modernità di Guénon è simile a quella della cultura cattolica tradizionalista.
Nel periodo della collaborazione a La France Antimaçonnique, Guénon era in relazione con un personaggio enigmatico: Swami Narad Mani. Si trattava di un induista che avrebbe passato a Guénon della documentazione sulla teosofia che il filosofo avrebbe ampiamente utilizzato nel suo corrosivo saggio contro il sistema di pensiero di Mme Blavatsky.
I testi di Narad Mani non sono particolarmente originali, e sostanzialmente riportano dati che potevano essere attinti da altre fonti. Inoltre Narad Mani era un sostenitore dello spiritismo, che era invece avversato da Guénon. Tuttavia alcune idee dello studioso indù devono aver influenzato la cultura esoterica, in particolare la tesi dell’esistenza di 33 logge dirette da un “Comitato occulto”. Si trattava di un’idea presente anche in Taxil: le 33 logge attraverso le quali i luciferiani governavano il mondo!
Le fonti indiane menzionavano anche la Teshu Maru, un’organizzazione iniziatica degenerata che avrebbe fatto da supporto alla controiniziazione: ipotesi che eccitavano le fantasie dei cospirazionisti…
È a questo punto che l’indagine verte sulla figura di Saint-Yves d’Alveydre che fornì a Guénon lo spunto per scrivere una delle sue opere più fortunate: Il Re del Mondo. L’idea di un regno sotterraneo governato da idee utopiche non era nuova, e sarà ripresa da Ossendowski nel suo celebre saggio Bestie, uomini e dèi. Ossendowski qualificava la misteriosa figura del “Re del Mondo” come “Grande Sconosciuto”, un appellativo inquietante che quasi richiamava aspetti anticristici. Saint-Yves a sua volta si ispirava a Hardjji Scharipf Bagwandas, un indù il cui stile somigliava a quello di Narad Mani. Il rapporto fra Saint-Yves e Scharipf è documentato a partire dal 1885, l’anno in cui esplode l’affare Taxil: una singolare coincidenza…
Nell’opera di Saint-Yves fanno capolino città infernali e comitati segreti che dirigono gli avvenimenti mondiali: gli ingredienti del sistema di potere mondialista cominciavano a entrare nell’immaginario del mondo intellettuale. Inoltre Scharipf era verosimilmente un esperto della “via della mano sinistra”, la pratica tantrica che utilizzava stregoneria, negromanzia e magia sessuale come metodi per indebolire la personalità. Erano concezioni che trovavano riscontro in certe correnti della Cabala ebraica che influenzeranno notevolmente la classe dirigente massonica.
Louis de Maistre individua altre fonti che hanno alimentato la misteriosa leggenda dell’Agartha: il pittore austriaco Alfred Kubin (1877-1959) dipingeva soggetti di carattere infernale che ispiravano la visione di un mondo in via di dissoluzione e in preda alla violenza. Kubin aveva scritto anche il romanzo Die andere Seite in cui descriveva un reame misterioso situato nel Turkestan e circondato da una “Grande Muraglia”: si tratta di temi che presentano analogie con quelli trattati da Guénon e da Ossendowski. Ne Il Re del Mondo Guénon sosteneva che il satanismo consisteva proprio nella identificazione del “Re del Mondo” col princeps hujus mundi, ovvero nella confusione fra l’aspetto luminoso e l’aspetto tenebroso. Si trattava evidentemente di idee diffuse nel dibattito culturale, legate ai sentimenti di smarrimento che attanagliavano l’opinione pubblica in quell’epoca di incipienti cambiamenti sociali ed economici, oggi elevati all’ennesima potenza dalla globalizzazione.
Guénon partecipò anche alle attività di un gruppo detto dei “Polari”; si trattava di una associazione esoterica che si ispirava agli oracoli di Padre Giuliano, un eremita che viveva a Bagnaia, presso Viterbo, nei primi anni del ‘900. A questa figura si facevano risalire una serie di dati fantasiosi e non verificabili che tuttavia presentano somiglianze con quelli trattati da Saint-Yves e da Guénon.
Lo studio di Louis de Maistre cerca anche di approfondire l’eterno dilemma su cui discutevano e discutono ancor oggi i complottisti: la massoneria è nata autonomamente o è una creazione della comunità ebraica? Probabilmente la domanda è destinata a restare senza risposta: se è vero che sono testimoniate influenze ebraiche fin dal XVII secolo nell’entourage di Cromwell, tuttavia gli ebrei sono presenti in scarso numero nelle logge all’inizio del XVIII secolo, e probabilmente gli ebrei massoni di quest’epoca erano visti con sospetto dai loro stessi correligionari.
Quello che si può documentare è la diffusione delle idee nate negli ambienti ebraici ispirati alle teorie di Sabbatai Tsevi e di Jakob Frank, che indicavano una “via della mano sinistra” in cui il vizio e il peccato erano la strada per raggiungere la salvezza. I seguaci di tali teorie erano verosimilmente organizzati in strutture segrete simili a quelle massoniche, nel comune intento di offrire alle masse l’illusione della libertà, con lo scopo di asservirle a un potere assai più cinico e dispotico di quello dal quale affermavano di liberarle.
Nella Cabala il contatto con forze demoniache aveva acquisito sempre maggiore importanza nel corso del tempo: gli studiosi di questa disciplina ebraica erano esperti nella manipolazione di residui psichici, e l’applicazione di tali teorie nel mondo massonico è testimoniata dal sistema degli “Eletti Coen” fondato da Martinez de Pasqually nel 1754. Lo stesso Cagliostro a Londra ebbe contatti con Ba’al Chem, un discepolo di Tsevi.
I seguaci di Tsevi e di Frank agivano come veri e propri missionari della sovversione, infiltrandosi nelle logge massoniche in modo più o meno palese, ma condizionandone le dottrine in maniera decisiva. Jakob Frank prefigurava l’avvento di un “mondo nuovo” caratterizzato da un “Grande Fratello” e da un “messia femminile”, concezioni che sembrano avere spaventose consonanze con la realtà contemporanea…
Nella lunga marcia della sovversione ebbero grande importanza le teorie teosofiche di Mme Blavatsky: in particolare la teoria dei Mahatma richiama l’idea dei “Superiori Sconosciuti”. Il teosofismo influenzò gli ambienti risorgimentali italiani, soprattutto Mazzini e la Carboneria. Fra gli italiani che ebbero contatti con la teosofia c’erano Giacinto Bruzzesi, Adriano Lemmi, Marco Antonio Canini, tutti personaggi abili ed esperti nel condurre operazioni occulte e defilate.
Alle idee teosofiche si ispirava anche Djamal ad-Din al Afghani, che si adoperò nel mondo islamico per una riforma religiosa ispirata a concezioni protestanti e per la diffusione di idee moderniste e socialisteggianti.
Si sviluppava quindi un sotterraneo lavoro di lavaggio del cervello e di manipolazione psichica che si estendeva attraverso nazioni e continenti, un lavoro di cui la Società Teosofica era in qualche modo l’aspetto visibile e istituzionale. Il piano, accuratamente preparato, spazzava via dalle coscienze ogni traccia di ordine positivo, attuando le direttive spirituali puramente distruttive di Jakob Frank. Si creava quindi un meccanismo di automazione sociale di cui le masse non erano minimamente consapevoli, e di questo sistema sono signori gli “iniziati” che governano le nazioni come veri e propri missi dominici della controiniziazione. Nel XXI secolo l’umanità sta assistendo a ulteriori angoscianti applicazioni di questo sistema ormai ampiamente collaudato…
I cospirazionisti cercavano anche localizzazioni geografiche dei centri della controiniziazione, che spesso venivano indicati in luoghi dell’Oriente, più o meno estremo. Guénon riteneva che la Mongolia fosse uno dei centri di irradiazione privilegiati delle influenze maligne, e la diffusione del manicheismo fra alcune popolazioni orientali sembrava confermare queste tesi. Lo stesso Guénon, inoltre, aveva accennato all’esistenza di torri diaboliche, alcune delle quali situate nelle steppe della Russia centrale.
L’instaurazione del regime comunista in Russia confermava le tesi dei cospirazionisti, e la letteratura complottista individuava personaggi considerati “minori” dalla grande storia, ma che avevano avuto ruoli importanti nella diffusione delle “idee nuove”. In ambiente russo a cavallo fra ‘800 e ‘900 era attivo Agwan Dorjiev, un lama buddhista che aveva una qualche influenza nell’ambiente zarista e che forse era implicato in attività di spionaggio i cui intenti non erano ben chiari. In seguito lo stesso Dorjiev sarà vittima delle epurazioni staliniane e morirà in prigione nel 1938. Anche in questo caso sembra di poter arguire che dietro il mascheramento buddhista ci fossero idee progressiste e universaliste di tipo teosofico.
Le teorie sulla provenienza orientale degli agenti della controiniziazione trovavano terreno fertile anche in una diffusa paura per una imminente invasione asiatica in Europa: all’inizio del ‘900 esisteva una letteratura diffusa che prospettava ipotesi di questo genere.
Guénon inoltre sembra essere stato in contatto con individui che lavoravano per l’Intelligence Service britannico, e l’esoterista francese vedeva opportunamente nell’imperialismo inglese un potente mezzo di propagazione della sovversione democratica. In quel periodo personaggio di punta delle trame inglesi era Sir Basil Zaharoff, un cinico mercante d’armi che era fra i dirigenti della Vickers, colosso industriale degli armamenti; Zaharoff sembra aver avuto una qualche influenza nell’infiammare i nazionalismi balcanici che accenderanno la scintilla della Grande Guerra.
Gli anni giovanili di Zaharoff sono avvolti in un fitto mistero, e la sua improvvisa ascesa nel mondo dell’affarismo cosmopolitico fa intuire che il personaggio fosse introdotto nei più esclusivi ambienti delle forze occulte…Centro studi La Runa
Molti sono i luoghi comuni , più numerosi ancora i preconcetti, inevitabili i grossolani errori storici di questo articolo. In questa sede mi limito a porre in risalto l'unica possibile esegesi dei cosidetti " superiori sconosciuti " ( si fa per dire ) per quanto mi è dato di sapere : << [...] Adepto, vocabolo che dotiamo di maiuscola e scriviamo in corsivo. Si diceva, nel suo significato iniziale, dell'alchimista eletto da Dio e, di conseguenza, che era riuscito nella Grande Opera. La sua etimologia di base non è indifferente : Adeptus, che ha ottenuto , essendo il participio passato di adipisci , conseguire, secondo Littré.
In effetti l'Adepto deve alla potenza senza limiti della gemma filosofale il fatto di trovarsi totalmente libero dalle vicessitudini e dalle incertezze che minacciano sempre, quaggiù, la salute del corpo, quella dello spirito e i beni temporali. Perciò regnano assoluta serenità e profonda quiete al suo idilliaco soggiorno di cui, del resto , apprezzammo la dolcezza fatata più di un quarto di secolo fa >> Due Luoghi Alchemici, Eugène Canseliet - Traduzione di Paolo Lucarelli.
E ancora: << Ora lo studioso non ignora più che la Pietra Filosofale è la posta della Grande Opera , che essa é la Medicina Universale e non soltanto l'agente di della trasmutazione dei metalli inferiori in argento e oro. Sa che essa dota l'Adepto ( adeptus, che ha raggiunto o ottenuto ) della vita eterna, della conoscenza infusa e delle ricchezze temporali , nel senso più assoluto di questi tre vocaboli e dei loro epiteti.
L'Adepto che commentò le strofe italiane di Fra Marc-Antonio, notò esattamente lo stesso triplo privilegio:
"Abbiate cura di comprendere la Pietra dei Filosofi, nello stesso tempo voi avrete raggiunto il fondamento della vostra salute, il tesoro delle ricchezze, la nozione della vera saggezza naturale, e la conoscenza certa dellla natura.">> L'Alchimia spiegata sui suoi testi classici,Eugène Canseliet - Traduzione di Paolo Lucarelli.
gdg
Un punto di snodo di grande importanza nella formulazione di queste teorie è rappresentato dagli studi che René Guénon ha dedicato all’argomento pubblicando articoli sulla stampa antimassonica, articoli che i lettori moderni possono trovare agevolmente in una ristampa: AA VV, La polémique sur les “Supérieurs Inconnus”, Archè, Milano 2003, pp.208. Il volume comprende anche testi di altri autori che trattavano il tema dei “Superiori Sconosciuti”: Louis Dasté, Gustave Bord, Benjamin Fabre, Charles Nicoullaud, Papus, Paul Copin-Albancelli.
Inoltre esiste uno studio monumentale di Louis de Maistre dedicato all’argomento: L’Énigme René Guénon et les “Supérieurs Inconnus”. L’autore ha effettuato un lavoro di ricerca sulle fonti che utilizzavano gli autori coinvolti nella polemica antimassonica. Le riviste che in Francia portavano avanti questa meritoria battaglia civile erano: La Bastille, La France Antimaçonnique, Mysteria, Revue Internationale des Sociétés Secrétes. Guénon scriveva su queste pubblicazioni con lo pseudonimo di “Le Sphinx”. Il dibattito sui temi in questione era animato principalmente dal mondo cattolico conservatore, ma vi contribuivano anche esoteristi come Guénon, e perfino ex massoni e spiriti laici infastiditi dal settarismo delle logge.
Le discussioni erano spesso imperniate sul tentativo di individuare i “Superiori Sconosciuti”, ovvero i personaggi che tiravano i fili dei burattini all’interno della massoneria, eventualmente tramite “logge coperte”, e che talvolta venivano indicati in persone in carne ed ossa, come Cagliostro o il Conte di Saint Germain, oppure venivano identificati negli ebrei, o nel diavolo stesso o, più verosimilmente, nell’insieme di idee-guida che ispiravano le logiche della sovversione. Si ipotizzava anche che gli “iniziati” avessero la facoltà di riunirsi “in astrale”, ovvero in una dimensione ultraterrena e non corporea nella quale avrebbero avuto modo di coordinare la loro azione sulla società.
Lo spunto per la riflessione nasceva da uno studio di Benjamin Fabre: Franciscus, Eques a capite galeato. Si trattava di un saggio, pubblicato nel 1913, dedicato al marchese di Chefdebien, un alto iniziato che aveva cominciato la sua carriera massonica nella fase preparatoria della Rivoluzione francese per proseguirla sotto l’Impero. Lo studio di Fabre mostrava come Napoleone pensasse di controllare la massoneria introducendo i suoi ufficiali nelle logge, mentre in realtà era la massoneria che controllava l’Imperatore dei Francesi!
Le ricerche mettevano in luce i legami tra le logge francesi e gli “Illuminati di Baviera” di Weishaupt, nonché le ipotesi sul centro di potere ebraico che agiva attraverso la massoneria.
A partire da questi dati comincia la ricerca di Louis de Maistre, che indaga sul problema sempre aperto delle fonti di Guénon, che il filosofo francese lasciava volutamente nell’ombra, sia per affascinare il lettore col suo stile ermetico, sia perché era convinto di esprimere verità tradizionali il cui valore era indipendente dalla personalità di chi le esprimeva. I più ardenti sostenitori di Guénon ritengono che l’opera del pensatore di Blois sia il più importante avvenimento culturale dalla fine del medioevo, ma anche senza arrivare a sostenere questa tesi occorre riconoscere che Guénon è una guida autorevole nel terreno scivoloso della storia occulta.
Guénon negli articoli in questione attaccava la massoneria adeguandosi allo stile delle riviste su cui scriveva, tuttavia in opere successive articolò il suo giudizio sui liberi muratori, criticando le deviazioni moderne delle logge. C’è anche chi ha sostenuto che Guénon sarebbe stato una sorta di cavallo di Troia all’interno del mondo cattolico col compito di diffondere una mentalità più favorevole all’occultismo, ma secondo Louis de Maistre questo giudizio sembra discutibile poiché nel complesso la critica alla modernità di Guénon è simile a quella della cultura cattolica tradizionalista.
Nel periodo della collaborazione a La France Antimaçonnique, Guénon era in relazione con un personaggio enigmatico: Swami Narad Mani. Si trattava di un induista che avrebbe passato a Guénon della documentazione sulla teosofia che il filosofo avrebbe ampiamente utilizzato nel suo corrosivo saggio contro il sistema di pensiero di Mme Blavatsky.
I testi di Narad Mani non sono particolarmente originali, e sostanzialmente riportano dati che potevano essere attinti da altre fonti. Inoltre Narad Mani era un sostenitore dello spiritismo, che era invece avversato da Guénon. Tuttavia alcune idee dello studioso indù devono aver influenzato la cultura esoterica, in particolare la tesi dell’esistenza di 33 logge dirette da un “Comitato occulto”. Si trattava di un’idea presente anche in Taxil: le 33 logge attraverso le quali i luciferiani governavano il mondo!
Le fonti indiane menzionavano anche la Teshu Maru, un’organizzazione iniziatica degenerata che avrebbe fatto da supporto alla controiniziazione: ipotesi che eccitavano le fantasie dei cospirazionisti…
È a questo punto che l’indagine verte sulla figura di Saint-Yves d’Alveydre che fornì a Guénon lo spunto per scrivere una delle sue opere più fortunate: Il Re del Mondo. L’idea di un regno sotterraneo governato da idee utopiche non era nuova, e sarà ripresa da Ossendowski nel suo celebre saggio Bestie, uomini e dèi. Ossendowski qualificava la misteriosa figura del “Re del Mondo” come “Grande Sconosciuto”, un appellativo inquietante che quasi richiamava aspetti anticristici. Saint-Yves a sua volta si ispirava a Hardjji Scharipf Bagwandas, un indù il cui stile somigliava a quello di Narad Mani. Il rapporto fra Saint-Yves e Scharipf è documentato a partire dal 1885, l’anno in cui esplode l’affare Taxil: una singolare coincidenza…
Nell’opera di Saint-Yves fanno capolino città infernali e comitati segreti che dirigono gli avvenimenti mondiali: gli ingredienti del sistema di potere mondialista cominciavano a entrare nell’immaginario del mondo intellettuale. Inoltre Scharipf era verosimilmente un esperto della “via della mano sinistra”, la pratica tantrica che utilizzava stregoneria, negromanzia e magia sessuale come metodi per indebolire la personalità. Erano concezioni che trovavano riscontro in certe correnti della Cabala ebraica che influenzeranno notevolmente la classe dirigente massonica.
Louis de Maistre individua altre fonti che hanno alimentato la misteriosa leggenda dell’Agartha: il pittore austriaco Alfred Kubin (1877-1959) dipingeva soggetti di carattere infernale che ispiravano la visione di un mondo in via di dissoluzione e in preda alla violenza. Kubin aveva scritto anche il romanzo Die andere Seite in cui descriveva un reame misterioso situato nel Turkestan e circondato da una “Grande Muraglia”: si tratta di temi che presentano analogie con quelli trattati da Guénon e da Ossendowski. Ne Il Re del Mondo Guénon sosteneva che il satanismo consisteva proprio nella identificazione del “Re del Mondo” col princeps hujus mundi, ovvero nella confusione fra l’aspetto luminoso e l’aspetto tenebroso. Si trattava evidentemente di idee diffuse nel dibattito culturale, legate ai sentimenti di smarrimento che attanagliavano l’opinione pubblica in quell’epoca di incipienti cambiamenti sociali ed economici, oggi elevati all’ennesima potenza dalla globalizzazione.
Guénon partecipò anche alle attività di un gruppo detto dei “Polari”; si trattava di una associazione esoterica che si ispirava agli oracoli di Padre Giuliano, un eremita che viveva a Bagnaia, presso Viterbo, nei primi anni del ‘900. A questa figura si facevano risalire una serie di dati fantasiosi e non verificabili che tuttavia presentano somiglianze con quelli trattati da Saint-Yves e da Guénon.
Lo studio di Louis de Maistre cerca anche di approfondire l’eterno dilemma su cui discutevano e discutono ancor oggi i complottisti: la massoneria è nata autonomamente o è una creazione della comunità ebraica? Probabilmente la domanda è destinata a restare senza risposta: se è vero che sono testimoniate influenze ebraiche fin dal XVII secolo nell’entourage di Cromwell, tuttavia gli ebrei sono presenti in scarso numero nelle logge all’inizio del XVIII secolo, e probabilmente gli ebrei massoni di quest’epoca erano visti con sospetto dai loro stessi correligionari.
Quello che si può documentare è la diffusione delle idee nate negli ambienti ebraici ispirati alle teorie di Sabbatai Tsevi e di Jakob Frank, che indicavano una “via della mano sinistra” in cui il vizio e il peccato erano la strada per raggiungere la salvezza. I seguaci di tali teorie erano verosimilmente organizzati in strutture segrete simili a quelle massoniche, nel comune intento di offrire alle masse l’illusione della libertà, con lo scopo di asservirle a un potere assai più cinico e dispotico di quello dal quale affermavano di liberarle.
Nella Cabala il contatto con forze demoniache aveva acquisito sempre maggiore importanza nel corso del tempo: gli studiosi di questa disciplina ebraica erano esperti nella manipolazione di residui psichici, e l’applicazione di tali teorie nel mondo massonico è testimoniata dal sistema degli “Eletti Coen” fondato da Martinez de Pasqually nel 1754. Lo stesso Cagliostro a Londra ebbe contatti con Ba’al Chem, un discepolo di Tsevi.
I seguaci di Tsevi e di Frank agivano come veri e propri missionari della sovversione, infiltrandosi nelle logge massoniche in modo più o meno palese, ma condizionandone le dottrine in maniera decisiva. Jakob Frank prefigurava l’avvento di un “mondo nuovo” caratterizzato da un “Grande Fratello” e da un “messia femminile”, concezioni che sembrano avere spaventose consonanze con la realtà contemporanea…
Nella lunga marcia della sovversione ebbero grande importanza le teorie teosofiche di Mme Blavatsky: in particolare la teoria dei Mahatma richiama l’idea dei “Superiori Sconosciuti”. Il teosofismo influenzò gli ambienti risorgimentali italiani, soprattutto Mazzini e la Carboneria. Fra gli italiani che ebbero contatti con la teosofia c’erano Giacinto Bruzzesi, Adriano Lemmi, Marco Antonio Canini, tutti personaggi abili ed esperti nel condurre operazioni occulte e defilate.
Alle idee teosofiche si ispirava anche Djamal ad-Din al Afghani, che si adoperò nel mondo islamico per una riforma religiosa ispirata a concezioni protestanti e per la diffusione di idee moderniste e socialisteggianti.
Si sviluppava quindi un sotterraneo lavoro di lavaggio del cervello e di manipolazione psichica che si estendeva attraverso nazioni e continenti, un lavoro di cui la Società Teosofica era in qualche modo l’aspetto visibile e istituzionale. Il piano, accuratamente preparato, spazzava via dalle coscienze ogni traccia di ordine positivo, attuando le direttive spirituali puramente distruttive di Jakob Frank. Si creava quindi un meccanismo di automazione sociale di cui le masse non erano minimamente consapevoli, e di questo sistema sono signori gli “iniziati” che governano le nazioni come veri e propri missi dominici della controiniziazione. Nel XXI secolo l’umanità sta assistendo a ulteriori angoscianti applicazioni di questo sistema ormai ampiamente collaudato…
I cospirazionisti cercavano anche localizzazioni geografiche dei centri della controiniziazione, che spesso venivano indicati in luoghi dell’Oriente, più o meno estremo. Guénon riteneva che la Mongolia fosse uno dei centri di irradiazione privilegiati delle influenze maligne, e la diffusione del manicheismo fra alcune popolazioni orientali sembrava confermare queste tesi. Lo stesso Guénon, inoltre, aveva accennato all’esistenza di torri diaboliche, alcune delle quali situate nelle steppe della Russia centrale.
L’instaurazione del regime comunista in Russia confermava le tesi dei cospirazionisti, e la letteratura complottista individuava personaggi considerati “minori” dalla grande storia, ma che avevano avuto ruoli importanti nella diffusione delle “idee nuove”. In ambiente russo a cavallo fra ‘800 e ‘900 era attivo Agwan Dorjiev, un lama buddhista che aveva una qualche influenza nell’ambiente zarista e che forse era implicato in attività di spionaggio i cui intenti non erano ben chiari. In seguito lo stesso Dorjiev sarà vittima delle epurazioni staliniane e morirà in prigione nel 1938. Anche in questo caso sembra di poter arguire che dietro il mascheramento buddhista ci fossero idee progressiste e universaliste di tipo teosofico.
Le teorie sulla provenienza orientale degli agenti della controiniziazione trovavano terreno fertile anche in una diffusa paura per una imminente invasione asiatica in Europa: all’inizio del ‘900 esisteva una letteratura diffusa che prospettava ipotesi di questo genere.
Guénon inoltre sembra essere stato in contatto con individui che lavoravano per l’Intelligence Service britannico, e l’esoterista francese vedeva opportunamente nell’imperialismo inglese un potente mezzo di propagazione della sovversione democratica. In quel periodo personaggio di punta delle trame inglesi era Sir Basil Zaharoff, un cinico mercante d’armi che era fra i dirigenti della Vickers, colosso industriale degli armamenti; Zaharoff sembra aver avuto una qualche influenza nell’infiammare i nazionalismi balcanici che accenderanno la scintilla della Grande Guerra.
Gli anni giovanili di Zaharoff sono avvolti in un fitto mistero, e la sua improvvisa ascesa nel mondo dell’affarismo cosmopolitico fa intuire che il personaggio fosse introdotto nei più esclusivi ambienti delle forze occulte…Centro studi La Runa
Molti sono i luoghi comuni , più numerosi ancora i preconcetti, inevitabili i grossolani errori storici di questo articolo. In questa sede mi limito a porre in risalto l'unica possibile esegesi dei cosidetti " superiori sconosciuti " ( si fa per dire ) per quanto mi è dato di sapere : << [...] Adepto, vocabolo che dotiamo di maiuscola e scriviamo in corsivo. Si diceva, nel suo significato iniziale, dell'alchimista eletto da Dio e, di conseguenza, che era riuscito nella Grande Opera. La sua etimologia di base non è indifferente : Adeptus, che ha ottenuto , essendo il participio passato di adipisci , conseguire, secondo Littré.
In effetti l'Adepto deve alla potenza senza limiti della gemma filosofale il fatto di trovarsi totalmente libero dalle vicessitudini e dalle incertezze che minacciano sempre, quaggiù, la salute del corpo, quella dello spirito e i beni temporali. Perciò regnano assoluta serenità e profonda quiete al suo idilliaco soggiorno di cui, del resto , apprezzammo la dolcezza fatata più di un quarto di secolo fa >> Due Luoghi Alchemici, Eugène Canseliet - Traduzione di Paolo Lucarelli.
E ancora: << Ora lo studioso non ignora più che la Pietra Filosofale è la posta della Grande Opera , che essa é la Medicina Universale e non soltanto l'agente di della trasmutazione dei metalli inferiori in argento e oro. Sa che essa dota l'Adepto ( adeptus, che ha raggiunto o ottenuto ) della vita eterna, della conoscenza infusa e delle ricchezze temporali , nel senso più assoluto di questi tre vocaboli e dei loro epiteti.
L'Adepto che commentò le strofe italiane di Fra Marc-Antonio, notò esattamente lo stesso triplo privilegio:
"Abbiate cura di comprendere la Pietra dei Filosofi, nello stesso tempo voi avrete raggiunto il fondamento della vostra salute, il tesoro delle ricchezze, la nozione della vera saggezza naturale, e la conoscenza certa dellla natura.">> L'Alchimia spiegata sui suoi testi classici,Eugène Canseliet - Traduzione di Paolo Lucarelli.
gdg
Da " Il mio Saramago ateo & innamorato" .Corriere della Sera,12/8/2011 di Luca Mastrantonio.

[...]
L'ateismo, per Saramago , come l'amore verso la letteratura e Pilar, è un fuoco sacro. Colpisce, nel documentario, la rivendicazione d'ateismo nell'approssimarsi della morte. «Dio... Dov'è? Un tempo si diceva: in cielo. Ma il cielo non esiste. Cos'è il cielo? Spazio. I confini dell'universo sono a 13 miliardi e 700 milioni di anni-luce... Dov'è Dio? Chi vuol crederci ci creda. Io dico ad alta voce "no". Certo a 83 anni sarebbe anche ora di cominciare a pensare al futuro, no? Uno nella vita può fare qualche fesseria, dire qualche scempiaggine rispetto al signore Iddio, però a 83 anni deve fare un po' d'attenzione. Ma la realtà è sempre quella. Nascere, vivere, morire. E basta. Nient'altro. Spero di morire lucido e a occhi aperti».
Quando si riprende dopo cinque settimane di ricovero in ospedale - una delle tante intermittenze - in una conferenza stampa brasiliana gli chiedono se sia cambiato il suo rapporto con Dio: «Perché dovrei? Perché, mi avrebbe salvato lui?». Poi racconta di aver guadagnato «serenità».
[...]
Così le immagini di Saramago in chiesa a Castril (Spagna), nel luglio 2007, alla veglia funebre per la madre di Pilar, sono una rarità. «A messa ci sono andato un paio di volte - racconta - quando avevo 6 anni. Non mi ha convinto per niente, così ho detto a mia madre: "Non ci vado più". E non ci sono più andato». Mentre il fratello di Pilar, sacerdote, celebra messa e saluta alcuni presenti «non proprio praticanti», la voce di Saramago, fuori campo, inchioda la sua idea di Dio alla panca di legno dove siede: «Dio non ha bisogno dell'uomo se non per essere Dio. Ogni uomo che muore è una morte di Dio. Quando l'ultimo uomo morirà, Dio non risusciterà».
[...]
Nel viaggio in aereo per San Paolo, nel 2008, per il lancio de Il viaggio dell'elefante(Einaudi, 2010), Saramago ha l'ispirazione per Caino (Feltrinelli, 2010). Tra le altre opere che fanno capolino nel documentario - tutte amorevolmente ri-dedicate a Pilar -, c'è Cecità di cui Saramago vede, commosso, la trasposizione cinematografica, e la versione teatrale di Le intermittenze della morte, in scena a Guadalajara. Saramago recita con l'attore messicano Gael García Bernal, che legge durante una prova: «Coloro che dovrebbero già essere morti vedranno la loro candela della vita spegnersi all'ultimo rintocco di mezzanotte». Il giorno dopo, però, nel libro, non morirà nessuno. «Bello no? - fa Saramago - Sarebbe bello se fosse vero. No, Pilar? Ma siccome non lo è...».
A José Saramago è stato dato il premio Nobel per la letteratura nel 1998. gdg
Stregonerie ? di Michele Fabbri.

Nei paesi anglosassoni comincia ad avere una significativa diffusione la Wicca, la religione inventata da Gerald Gardner negli anni ’50 del secolo scorso. La Wicca è una forma di paganesimo dai tratti piuttosto incerti, e i suoi seguaci si qualificano generalmente con l’appellativo di “streghe” e “stregoni”. Ma oltre alla Wicca si diffondono forme di culti pagani dalle più varie connotazioni, ispirati a mitologie egizie, babilonesi, greco-romane, celtiche, germaniche…
Un tentativo di fare un qualche inquadramento degli indirizzi dottrinali di queste forme di religiosità è stato fatto da Joyce e River Higginbotham nel libro Paganism. An Introduction to Earth-Centered Religions.
Gli autori prendono in considerazione la realtà americana, dove si calcola che i seguaci del sacro alternativo siano oltre un milione. In generale questi culti pagani si caratterizzano per un pronunciato individualismo religioso, per una organizzazione sacerdotale flessibile, per una scarsa propensione al proselitismo.
Alcuni culti, in particolare la Wicca, insistono soprattutto sulla specificità dell’approccio femminile al sacro, e in certi casi si formano congreghe di sole donne. Molti gruppi pagani, infatti, sono profondamente influenzati da ideologie progressiste, socialiste, femministe, e spesso sono completamente succubi della “correttezza politica”. Tuttavia i credenti monoteisti e gli atei sembrano poco inclini a ricambiare la cortesia, visto che i seguaci del paganesimo non sono presi troppo sul serio nella società contemporanea!
Forse sarebbe meglio tener presente che i fumosi concetti ideologici di “progresso” e di “emancipazione” sono chiaramente desunti dal monoteismo biblico…
Nel quadro della libertà di culto, comunque, le religioni pagane sono state riconosciute come tali in alcune vertenze giudiziarie, anche se manca ancora un riconoscimento istituzionale di tali culti.
Non si può negare che spesso i neopaganesimi si caratterizzino per una concezione molto superficiale del fenomeno religioso, tuttavia non mancano personalità di una certa caratura culturale fra gli aderenti alle nuove/antiche religioni, e alcuni gruppi stanno anche effettuando interessanti esperimenti di autoproduzione e di autoconsumo con particolare attenzione a temi ecologici.
Dal punto di vista dottrinale lo scenario è estremamente variegato. La più importante caratterizzazione di tutti i paganesimi è il rifiuto dell’idea del peccato originale, inoltre si ammette una pluralità di dèi che varia a seconda delle interpretazioni. Ovviamente non esistono dogmi né gerarchie centralizzate, ma in generale si concorda sulla percezione dell’universo come di un qualcosa in cui si avverte la scintilla del divino in ogni singola parte, e da questa concezione si ricava l’idea di una intima connessione fra l’elemento umano e la natura. C’è una certa disponibilità ad accogliere idee provenienti da qualsiasi forma religiosa, anche sui temi etici, che in genere restano piuttosto indefiniti. Per quanto riguarda il post mortem ci sono diverse posizioni: sopravvivenza dell’anima, reincarnazione, dissoluzione nella natura…
D’altra parte, se è vero che alcune di queste concezioni sembrano venire da religioni istituzionalizzate, non bisogna dimenticare che gli stessi cristiani avevano a loro volta riciclato credenze pagane, e che l’Ebraismo aveva accolto temi derivati dalle antiche culture mediorientali e persiane.
Un curioso capitolo è dedicato alle relazioni vere o presunte del paganesimo col satanismo. Fin dall’antichità, infatti, la pubblicistica cristiana assimilava il diavolo agli dèi pagani e talvolta anche oggi i gruppi pagani sono sospettati di satanismo. Nei secoli della caccia alle streghe certe sopravvivenze del paganesimo erano associate al demonio, e per questo i seguaci della Wicca si riferiscono a quegli avvenimenti nella costruzione del loro immaginario. Non si può escludere che frange fuori controllo si dedichino a pratiche sataniche, tuttavia essendo Satana un personaggio dei monoteismi, è a rigore incongruente l’adorazione del diavolo in un culto pagano. Esistono poi anche nei paganesimi figure di entità maligne che mostrano notevoli somiglianze col diavolo cristiano, come Seth per gli Egizi o Loki per i Germani.
Il libro degli Higginbotham rappresenta un apprezzabile sforzo di fare il punto su argomenti poco frequentati dai grandi media, ed è dotato di una buona bibliografia che lo rende un importante punto di riferimento in materia.
In un’epoca di grandi trasformazioni e di disorientamento generale è logico che ci si interroghi anche sul futuro delle religioni; e a volte ci si rende conto che ciò che può sembrare nuovo è in realtà la riappropriazione di qualcosa che ci apparteneva già ma che avevamo dimenticato…
* * *
Joyce & River Higginbotham, Paganism. An Introduction to Earth-Centered Religions, Llewellyn Publications, Woodbury Minnesota 2002, pp.250.
Un tentativo di fare un qualche inquadramento degli indirizzi dottrinali di queste forme di religiosità è stato fatto da Joyce e River Higginbotham nel libro Paganism. An Introduction to Earth-Centered Religions.
Gli autori prendono in considerazione la realtà americana, dove si calcola che i seguaci del sacro alternativo siano oltre un milione. In generale questi culti pagani si caratterizzano per un pronunciato individualismo religioso, per una organizzazione sacerdotale flessibile, per una scarsa propensione al proselitismo.
Alcuni culti, in particolare la Wicca, insistono soprattutto sulla specificità dell’approccio femminile al sacro, e in certi casi si formano congreghe di sole donne. Molti gruppi pagani, infatti, sono profondamente influenzati da ideologie progressiste, socialiste, femministe, e spesso sono completamente succubi della “correttezza politica”. Tuttavia i credenti monoteisti e gli atei sembrano poco inclini a ricambiare la cortesia, visto che i seguaci del paganesimo non sono presi troppo sul serio nella società contemporanea!
Forse sarebbe meglio tener presente che i fumosi concetti ideologici di “progresso” e di “emancipazione” sono chiaramente desunti dal monoteismo biblico…
Nel quadro della libertà di culto, comunque, le religioni pagane sono state riconosciute come tali in alcune vertenze giudiziarie, anche se manca ancora un riconoscimento istituzionale di tali culti.
Non si può negare che spesso i neopaganesimi si caratterizzino per una concezione molto superficiale del fenomeno religioso, tuttavia non mancano personalità di una certa caratura culturale fra gli aderenti alle nuove/antiche religioni, e alcuni gruppi stanno anche effettuando interessanti esperimenti di autoproduzione e di autoconsumo con particolare attenzione a temi ecologici.
Dal punto di vista dottrinale lo scenario è estremamente variegato. La più importante caratterizzazione di tutti i paganesimi è il rifiuto dell’idea del peccato originale, inoltre si ammette una pluralità di dèi che varia a seconda delle interpretazioni. Ovviamente non esistono dogmi né gerarchie centralizzate, ma in generale si concorda sulla percezione dell’universo come di un qualcosa in cui si avverte la scintilla del divino in ogni singola parte, e da questa concezione si ricava l’idea di una intima connessione fra l’elemento umano e la natura. C’è una certa disponibilità ad accogliere idee provenienti da qualsiasi forma religiosa, anche sui temi etici, che in genere restano piuttosto indefiniti. Per quanto riguarda il post mortem ci sono diverse posizioni: sopravvivenza dell’anima, reincarnazione, dissoluzione nella natura…
D’altra parte, se è vero che alcune di queste concezioni sembrano venire da religioni istituzionalizzate, non bisogna dimenticare che gli stessi cristiani avevano a loro volta riciclato credenze pagane, e che l’Ebraismo aveva accolto temi derivati dalle antiche culture mediorientali e persiane.
Un curioso capitolo è dedicato alle relazioni vere o presunte del paganesimo col satanismo. Fin dall’antichità, infatti, la pubblicistica cristiana assimilava il diavolo agli dèi pagani e talvolta anche oggi i gruppi pagani sono sospettati di satanismo. Nei secoli della caccia alle streghe certe sopravvivenze del paganesimo erano associate al demonio, e per questo i seguaci della Wicca si riferiscono a quegli avvenimenti nella costruzione del loro immaginario. Non si può escludere che frange fuori controllo si dedichino a pratiche sataniche, tuttavia essendo Satana un personaggio dei monoteismi, è a rigore incongruente l’adorazione del diavolo in un culto pagano. Esistono poi anche nei paganesimi figure di entità maligne che mostrano notevoli somiglianze col diavolo cristiano, come Seth per gli Egizi o Loki per i Germani.
Il libro degli Higginbotham rappresenta un apprezzabile sforzo di fare il punto su argomenti poco frequentati dai grandi media, ed è dotato di una buona bibliografia che lo rende un importante punto di riferimento in materia.
In un’epoca di grandi trasformazioni e di disorientamento generale è logico che ci si interroghi anche sul futuro delle religioni; e a volte ci si rende conto che ciò che può sembrare nuovo è in realtà la riappropriazione di qualcosa che ci apparteneva già ma che avevamo dimenticato…
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Joyce & River Higginbotham, Paganism. An Introduction to Earth-Centered Religions, Llewellyn Publications, Woodbury Minnesota 2002, pp.250.
Il vescovo Mogavero veste Armani.

I paramenti disegnati dallo stilista indossati per l'inaugurazione del sagrato della chiesa di Pantelleria
Monsignor Mogavero con l'abito liturgico disegnato da Armani (nel tondo)
TRAPANI - Se «Il diavolo veste Prada», come titolava un fortunato film, il vescovo è invece «griffato» Armani. E in questo caso non si tratta di una finzione cinematografica, ma della scelta di monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, che stamane ha indossato per la prima volta i paramenti disegnati e regalatigli da Giorgio Armani.
L'abito liturgico è stato indossato dal sacerdote in occasione dell'inaugurazione del sagrato della nuova chiesa di Pantelleria,che sta per essere terminata. Sulla stoffa sono riportati i segni della terra e del mare dell'isola nella quale lo stilista viene in vacanza da 37 anni e di cui dal 2006 è cittadino onorario.
dal Corriere del Mezzogiorno.it
Monsignor Mogavero con l'abito liturgico disegnato da Armani (nel tondo)
TRAPANI - Se «Il diavolo veste Prada», come titolava un fortunato film, il vescovo è invece «griffato» Armani. E in questo caso non si tratta di una finzione cinematografica, ma della scelta di monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, che stamane ha indossato per la prima volta i paramenti disegnati e regalatigli da Giorgio Armani.
L'abito liturgico è stato indossato dal sacerdote in occasione dell'inaugurazione del sagrato della nuova chiesa di Pantelleria,che sta per essere terminata. Sulla stoffa sono riportati i segni della terra e del mare dell'isola nella quale lo stilista viene in vacanza da 37 anni e di cui dal 2006 è cittadino onorario.
dal Corriere del Mezzogiorno.it
"Le catastrofi naturali non sono mai un castigo divino "

( Fotomontaggio di Massimo Mastromarino )
«Terremoti, uragani e altre sciagure che colpiscono insieme colpevoli e innocenti non sono mai un castigo di Dio. Dire il contrario, significa offendere Dio e gli uomini». Lo afferma padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, nell'omelia alla presenza del Papa in Vaticano in occasione della celebrazione della liturgia del Venerdì Santo. Le parole del frate cappuccino sono una chiara risposta alle affermazioni del vice direttore del Cnr, Roberto de Mattei, cattolico tradizionalista, il quale ai microfoni di Radio Maria, commentando lo tsunami che ha colpito il Giappone lo scorso 11 marzo, aveva affermato che il sisma andava letto come castigo divino e in rapporto al peccare degli uomini. - Evidentemente il Vaticano è un luogo pieno di «relativisti», seguendo la logica del pensiero di de Mattei, il quale rispondendo agli attacchi contro le sue affermazioni aveva dichiarato che «gli attacchi contro di me sono un tipico esempio della dittatura del relativismo denunciata da Benedetto XVI. Io non ho fatto altro che riaffermare la tradizionale dottrina cattolica sulla provvidenza. Come insegnano san Tommaso e sant'Agostino, nell'universo non accade nulla che non sia voluto, o almeno permesso, da Dio per precise ragioni. E tra di esse non è da escludere l'ipotesi di un castigo divino, anche se in materia non vi è certezza», aveva aggiunto il numero due del Consiglio nazionale delle ricerche. De Mattei ha poi ribadito il 20 aprile il suo concetto in un nuovo intervento a Radio Maria: «La teologia cristiana insegna che quando è un popolo a soffrire una grande catastrofe si tratta spesso di un castigo che serve a scontare i suoi peccati. Le sciagure collettive non sono permesse da Dio solo per scontare i nostri peccati sociali, ma anche per ricordarci la nostra precarietà o per purificarci attraverso la sofferenza, ma sempre per ottenere un bene maggiore». E per sottolineare «il castigo di Dio», de Mattei riporta un episodio del terremoto di Messina. «Nella mattina di domenica del 27 dicembre 1908 erano apparse nella città strisce con la scritta “Gesù Cristo non è mai esistito”, e per dimostrare l’empia affermazione, alla sera, in un pubblico dibattito era seguita una processione blasfema che era giunta fino alla spiaggia: un crocifisso era stato buttato a mare tra lazzi e oscenità». Poche ore dopo, all'alba del 28 dicembre, Messina venne distrutta da un terremoto e dal successivo maremoto che provocò circa 80 mila morti. De Mattei cita inoltre la distruzione di Varsavia durante la Seconda guerra mondiale, preannunciata alla santa Faustina Kowalska «per i peccati che in essa si commettevano, soprattutto l’aborto». Le sciagure naturali, chiarisce inoltre padre Cantalamessa, «sono però un ammonimento: in questo caso, l'ammonimento a non illuderci che basteranno la scienza e la tecnica a salvarci. Se non sapremo imporci dei limiti, possono diventare proprio esse, lo stiamo vedendo, la minaccia più grave di tutte». E in questo passaggio si può leggere anche un accenno alla vicenda delle centrali nucleari di Fukushima. «La globalizzazione - ha detto ancora Cantalamessa - ha almeno questo effetto positivo: il dolore di un popolo diventa il dolore di tutti, suscita la solidarietà di tutti. Ci dà occasione di scoprire che siamo una sola famiglia umana, legata nel bene e nel male. Ci aiuta a superare le barriere di razza, colore e religione».
Redazione online del Corriere della Sera
«Terremoti, uragani e altre sciagure che colpiscono insieme colpevoli e innocenti non sono mai un castigo di Dio. Dire il contrario, significa offendere Dio e gli uomini». Lo afferma padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, nell'omelia alla presenza del Papa in Vaticano in occasione della celebrazione della liturgia del Venerdì Santo. Le parole del frate cappuccino sono una chiara risposta alle affermazioni del vice direttore del Cnr, Roberto de Mattei, cattolico tradizionalista, il quale ai microfoni di Radio Maria, commentando lo tsunami che ha colpito il Giappone lo scorso 11 marzo, aveva affermato che il sisma andava letto come castigo divino e in rapporto al peccare degli uomini. - Evidentemente il Vaticano è un luogo pieno di «relativisti», seguendo la logica del pensiero di de Mattei, il quale rispondendo agli attacchi contro le sue affermazioni aveva dichiarato che «gli attacchi contro di me sono un tipico esempio della dittatura del relativismo denunciata da Benedetto XVI. Io non ho fatto altro che riaffermare la tradizionale dottrina cattolica sulla provvidenza. Come insegnano san Tommaso e sant'Agostino, nell'universo non accade nulla che non sia voluto, o almeno permesso, da Dio per precise ragioni. E tra di esse non è da escludere l'ipotesi di un castigo divino, anche se in materia non vi è certezza», aveva aggiunto il numero due del Consiglio nazionale delle ricerche. De Mattei ha poi ribadito il 20 aprile il suo concetto in un nuovo intervento a Radio Maria: «La teologia cristiana insegna che quando è un popolo a soffrire una grande catastrofe si tratta spesso di un castigo che serve a scontare i suoi peccati. Le sciagure collettive non sono permesse da Dio solo per scontare i nostri peccati sociali, ma anche per ricordarci la nostra precarietà o per purificarci attraverso la sofferenza, ma sempre per ottenere un bene maggiore». E per sottolineare «il castigo di Dio», de Mattei riporta un episodio del terremoto di Messina. «Nella mattina di domenica del 27 dicembre 1908 erano apparse nella città strisce con la scritta “Gesù Cristo non è mai esistito”, e per dimostrare l’empia affermazione, alla sera, in un pubblico dibattito era seguita una processione blasfema che era giunta fino alla spiaggia: un crocifisso era stato buttato a mare tra lazzi e oscenità». Poche ore dopo, all'alba del 28 dicembre, Messina venne distrutta da un terremoto e dal successivo maremoto che provocò circa 80 mila morti. De Mattei cita inoltre la distruzione di Varsavia durante la Seconda guerra mondiale, preannunciata alla santa Faustina Kowalska «per i peccati che in essa si commettevano, soprattutto l’aborto». Le sciagure naturali, chiarisce inoltre padre Cantalamessa, «sono però un ammonimento: in questo caso, l'ammonimento a non illuderci che basteranno la scienza e la tecnica a salvarci. Se non sapremo imporci dei limiti, possono diventare proprio esse, lo stiamo vedendo, la minaccia più grave di tutte». E in questo passaggio si può leggere anche un accenno alla vicenda delle centrali nucleari di Fukushima. «La globalizzazione - ha detto ancora Cantalamessa - ha almeno questo effetto positivo: il dolore di un popolo diventa il dolore di tutti, suscita la solidarietà di tutti. Ci dà occasione di scoprire che siamo una sola famiglia umana, legata nel bene e nel male. Ci aiuta a superare le barriere di razza, colore e religione».
Redazione online del Corriere della Sera
Il volto luciferino dell'Occidente di Claudio Prandini.

Questo articolo mi ha lasciato nel dubbio. Cacciari ha detto tutto quello che pensa veramente ? Non si è spinto oltre perchè teme di suscitare scandalo?
La scelta di porre in risalto con il colore giallo alcuni paragrafi appartiene a Prandini ( compreso il titolo dell' articolo, naturalmente ).gdg
[Intervista di Maurizio Blondet al Filosofo Massimo Cacciari (2)]
«II Papa deve smettere di fare il katéchon!», esclamò d'improvviso Massimo Cacciari. Mi stupì la sua foga, e ancor più il fatto che subito dopo parve pentirsi, come se la parola gli fosse sfuggita. Era un giorno del settembre 1993, e io lo stavo intervistando nella sua casa tersa, piena di volumi. Fuori, Venezia si sfaceva nel suo mare fecale, sotto un cielo grigio.
Katèchon? Non ricordo molto di greco. Dovetti chiedergli che cosa volesse dire. «Katéchon è Ciò che trattiene», rispose Cacciari guardandomi incerto: «Ciò che trattiene l'Anticristo dal manifestarsi pienamente. San Paolo, ricorda?». Ora ricordavo: Seconda Lettera ai Tessalonicesi (2, 6 e seguenti). Il passo enigmatico in cui Paolo di Tarso accenna al futuro manifestarsi dell'Anticristo, Anomos: «II figlio di perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra tutto quel che si adora come Dio, tanto che siederà egli stesso nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio». Ma non crediate che la venuta dell'Anticristo sia imminente, aggiunge subito l'apostolo. C'è qualcosa che «trattiene» l'Antícristo dall'irrompere nel mondo.
Ė qualcosa di misterioso, di cui san Paolo deve aver già parlato in passato ai fedeli di Tessalonica. «Non vi ricordate come io, quand'ero tra voi, vi dicevo tali cose? Perciò voi sapete che cosa sia quel che lo trattiene (=katéchon), affinché sia manifestato a suo tempo. Perché è già al lavoro il mistero d'iniquità, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Allora sarà la manifestazione dell'Iniquo». Che cosa può essere «ciò che trattiene» l'Anticristo? Cercai di ricordare. Mi risposi che, genericamente, doveva essere la fede cristiana, forse la Chiesa, i sacramenti. Cosi pareva intenderlo Cacciari, del resto, e mi stupì anzitutto che egli pretendesse dal Pontefice che «smettesse» di fare ostacolo all'Anticristo, che cessasse di far da argine alla Perdizione. Per quanto patetico appaia oggi quest'argine, se è poi la Chiesa, di fronte all'edonismo e alla secolarizzazione ‑ se sono questi i segni dell'Anticristo ‑ come si può chiedere al Papa di non opporsi al Male? Mi domandai anche: perché Cacciari desidera accelerare l'avvento dell'Anticristo?
La nostra conversazione, fino a quel momento, non faceva prevedere quell'esito. Lo stavo interrogando sui «valori» della cosiddetta «etica laica». Mi rispose, sarcastico, che ‑ per cominciare ‑ andava sgombrato il campo dall'abuso, dalla ripetizione a vanvera del termine «etica». «Ethos, o per i latini Mos, non è affatto ciò che noi oggi intendiamo per "etico'' o "morale". Ethos non indicava comportamenti soggettivi; indicava la "dimora", l'abitare in cui ogni uomo si trova alla nascita, la radice a cui ogni uomo appartiene. In questo senso, un greco non era più o meno "etico" per sua scelta o volontà. Egli apparteneva a un ethos. A una stirpe, a un linguaggio, a una polis. Che non era stato lui a scegliere».
Come nell'Induismo, osservai: dove un uomo, per il fatto di nascere in una precisa casta, appartiene alla sua casta. Ed è soggetto allo swadharma, la «legge» (dharma, che significa anche «dovere» e «destino») propria della sua (swa) casta. In India non esiste una morale; esiste un dharma per ogni casta, e il dharma del contadino è diverso da quello del re, ciascuno ineluttabile e non evitabile.
Cacciari annui: «Ogni società tradizionale ha, o meglio è, un ethos. Ogni società tradizionale, come un albero rovesciato, ha la sua radice nella legge divina, nel nomos. La legge della polis, dice Erodoto, è l'immagine di Dike». L'ethos, ripete, impone all'uomo valori che non è lui a scegliere, a decidere, ma a cui appartiene. Ma in Europa questa appartenenza è entrata in crisi quasi fin dall'inizio. Per l'uomo europeo è venuto molto presto il tempo della frattura con l'ordíne degli dèi; il tempo della decisione. L'ethos era già in crisi profonda con l'Ellenismo, «cosmopolíta» ossia sradicato. «E duemila anni fa, l'ethos ha cessato completamente di esistere».
«Sant'Agostino lo dice chiaramente: la Città di Dio è pellegrina in terra; ne segue che il cristiano non ha casa o è a casa sua dovunque. Il cristiano "non si cura" dei diversi costumi, delle diverse leggi, delle diverse istituzioni con cui la pace terrena si ottiene o si mantiene».... Il Cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra.
Duemila anni fa, quando Cristo apparve nel mondo? «Sì, il Cristianesimo è stato dirompente rispetto a ogni ethos». Per provarmelo, Massimo Cacciari cercò un passo nel De Civitate Dei. Non riuscì a trovarlo; me ne dette un riassunto ad sensum. «Sant'Agostino lo dice chiaramente: la Città di Dio è pellegrina in terra; ne segue che il cristiano non ha casa o è a casa sua dovunque. Il cristiano "non si cura" dei diversi costumi, delle diverse leggi, delle diverse istituzioni con cui la pace terrena si ottiene o si mantiene». (Ho scoperto dopo che Massimo Cacciari cita quel passo con precisione nel suo Geo‑filosofia dell'Europa, editore Adelphi, p. 116: è il cap. XIX, 12‑17, del De Civitale Dei). Il Cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra.
Ciò vuol dire, continuò, che il Cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell'Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli dèi e la società. L'ethos antico era una refigione civile; gli dèi erano, inevitabilmente, gli dèi della polis, Erano dèi di ferro: Socrate fu condannato perché la sua libera investigazione offendeva gli dèi della polis, ma radicavano l'uomo, lo riparavano dalla decisione. Il Cristianesimo, consumando la rottura con gli dèi della Città, sradica l'uomo: «Con il Cristianesimo comincia la nostra "etica" come decisione, come un sistema di valori che io scelgo, come "libero arbitrio"». Uno stato doloroso: il Cristianesimo, nella visione di Cacciari, getta l'uomo nella libertà come un naufrago è gettato nel mare in tempesta.
«E la Chiesa è perfettamente consapevole di quanto sia tragica la libertà che ha donato all'uomo. Già Agostino paventa che, sradicati gli dèi della Città, la città dell'uomo diventi il campo dove si scontrano meri interessi, il regno della forza. Per questo tutta la cultura cristiana è un correre ai ripari contro la tragedia che ha provocato, una tensione disperata a riparare il pericolo che viene dalla frattura tra la Città di Dio e la città dell'Uomo. In questo senso, è davvero la Chiesa a fondare la civiltà europea. Perché l'Europa, la sua storia, è la storia di questo sradicamento, dell'angoscioso obbligo di decidere che deriva dalla perdita definitiva dell'ethos. Ė la storia delle soluzioni disperate che l'Europa via via escogita per darsi leggi "morali" le quali ‑ senza sopprimere la libertà ‑ trattengano la società dal divenire il campo della pura violenza».
Ma queste norme, non più radicate nel Sacro, sono per forza precarie, sostenne Cacciari; esse devono continuamente essere «superate». «E qui è la grandezza dell'Europa e la sua miseria: il suo sforzo bimillenario per dare norme a una libertà che è sempre sul punto di delirare. Il fatto è che il Cristianesimo, liberando l'uomo dall'ethos, libera in lui la potenza del pensiero: il potere di mettere in discussione ogni tradizione ricevuta, il potere che tutto oltrepassa».
«La vera differenza è che il Cristianesimo sa che la volontà dell'uomo è ferita. Che diventando libero, l'uomo diventa libero di fare il male. Ogni "morale" laica e illuminìsta presuppone il contrario: che ogni uomo ha in sé i princìpi universali dell'azione. Che il bene è scritto nella sua coscienza, e gli basta seguirla». ...«Di più: ogni etica laica suppone che tutto ciò che si manifesta in me come mia natura è buono. Dunque i miei appetiti vanno soddisfatti perché buoni. Anzi, di più: perché necessari. Lungi dal predicare, come fanno i parroci, che gli appetiti vanno "ordinati", il laicismo pone proprio gli appetiti alla base del vivere civile».
Non potei fare a meno di notare lo stupefacente corollario a cui conduceva quest'ordine di pensieri: la secolarizzazione totale che viviamo sarebbe dunque figlia della sovversione originaria operata dal Cristianesimo. In apparenza antagonisti, l'Illuminismo libertino di cui subiamo gli esiti estremi, e la Chiesa, avrebbero in realtà la stessa radice. Protestai (temo troppo debolmente) che non poteva essere; che anche l'ethos cristiano è radicato nel sacro... Cacciari m'interruppe con impazienza: «La vera differenza è che il Cristianesimo sa che la volontà dell'uomo è ferita. Che diventando libero, l'uomo diventa libero di fare il male. Ogni "morale" laica e illuminìsta presuppone il contrario: che ogni uomo ha in sé i princìpi universali dell'azione. Che il bene è scritto nella sua coscienza, e gli basta seguirla».
L'illuminismo è pelagiano nel senso più lato, aggiunse: nega il peccato originale, crede che l'uomo possa salvarsi da sé. «Di più: ogni etica laica suppone che tutto ciò che si manifesta in me come mia natura è buono. Dunque i miei appetiti vanno soddisfatti perché buoni. Anzi, di più: perché necessari. Lungi dal predicare, come fanno i parroci, che gli appetiti vanno "ordinati", il laicismo pone proprio gli appetiti alla base del vivere civile».
Come, come? «Per esempio, la borghesia crede che il libero espandersi degli egoismi e degli interessi individuali dia luogo a quell'armonia collettiva che chiama "mercato", e di cui scopre adorante le leggi: le "leggi del mercato". Il Marxismo, dal canto suo, ha creduto che dalla lotta scatenata fra le forze economiche potesse nascere l'armonia finale, la "società senza classi". Ė la scoperta delle economie politiche. Che non a caso sorgono nell'Ottocento, insieme all'estetica».
L'estetica è la «scienza» che scopre le leggi dei godimento soggettivo, come l'economia politica è la «scienza» che scopre le leggi dell'interesse individuale, mi spiegò. «Sono queste due "scienze" a costituire la Modernità, e precisamente questa Modernità che oggi il Cattolicesimo si trova davanti come il Nemico».
«Negli ultimi settant'anni», continuò lui, «La Chiesa ha creduto che il Nemico fosse il Comunismo. Non era sbagliato; il Comunismo ha scatenato, ha portato alle ultime conseguenze, la volontà di potenza europea. Il Comunismo affermava: l'uomo si salva da sé, armato di economia e di estetica. La Chiesa, giustamente, l'ha sentito come una sfida mortale. Oggi che il Comunismo è caduto, però, contro la Chiesa si rizza il Nemico vero, il Nemico finale: un sistema estetico‑economico totalmente secolarizzato».... quello del Capitalismo internazionalista, del Nuovo Ordine Mondiale tecnocratico.
Il giovane filosofo nero‑barbuto alludeva al Nemico finale, all'Anticristo? «Negli ultimi settant'anni», continuò lui, «La Chiesa ha creduto che il Nemico fosse il Comunismo. Non era sbagliato; il Comunismo ha scatenato, ha portato alle ultime conseguenze, la volontà di potenza europea. Il Comunismo affermava: l'uomo si salva da sé, armato di economia e di estetica. La Chiesa, giustamente, l'ha sentito come una sfida mortale. Oggi che il Comunismo è caduto, però, contro la Chiesa si rizza il Nemico vero, il Nemico finale: un sistema estetico‑economico totalmente secolarizzato».
Qui capivo meglio a che cosa Cacciari alludesse: quell'ultimo Nemico era già stato identificato dal chiaroveggente Del Noce. Ẻ il Capitalismo ulteriore al Comunismo, che ingloba in sé le larve psichiche e sociali scampate alla decomposizione del marxleninismo: «l'intellettuale dissacratore come custode del nichilismo», «trasformato in funzionario dell'industria culturale alle dipendenze del potere» economico. E' «lo spirito borghese allo stato puro» a cui si riduce la copula necrofila del Capitalismo con lo spettro del Marxismo, devitalizzato della sua tensione escatologica. Del Noce aveva previsto: il Comunismo sconfitto, «trasformato in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata», dominata «da una nuova classe che tratta ogni idea come strumento di potere». Il Comunismo addomesticato in «partito radicale di massa, adatto a mantenere l'ordine in un mondo da cui qualsiasi religione è scomparsa»; quello del Capitalismo internazionalista, del Nuovo Ordine Mondiale tecnocratico.
Insomma: il peggio dei due sistemi che, falsi antagonisti, anelavano in realtà ad adottarsi l'un l'altro: sì, poteva ben essere questa una buona descrizione dell'Anticristo. Ma Cacciari già continuava: «Per anni la minaccia comunista ha causato un'alleanza forzata tra la Chiesa e il sistema laico borghese. Ora quest'alleanza, che era finta fin dal principio, non è più possibile. Nessuna composizione è possibile tra la Chiesa e lo spirito borghese, con la sua "etica laica". Per un motivo preciso: che il cristiano deve mettere in discussione ogni sistemazione puramente terrena. Lui, "pellegrino" su questa terra, sa che ogni sistemazione della Città dell'Uomo è transeunte, che deve essere superata».
La sovversione cristiana si volge dunque ora contro il totalitarismo borghese‑radicale? «Lo spirito estetico-economico borghese non tollera di essere messo in discussione; non ammette di poter essere superato». Mi parve di leggergli negli occhi l'evocazione paolina del Figlio di Perdizione, «colui che s'innalza sopra tutto quel che si adora come Dio». Cercai di fare dello spirito: «Ma l'essenza della società borghese è il liberalismo, e per principio il liberalismo mette in discussione ogni principio...». ...«Il sistema borghese tollera di essere discusso solo al proprio interno», sancì Massimo Cacciari: «Verso ciò che è esterno ai suoi "valori", non ha pietà». E mi elencò i genocidi liberali: a cominciare dallo sterminio dei Pellerossa. «I Pellerossa erano radicati nel loro ethos, e l'Americano vedeva nel loro ethos un sistema di non‑libertà. Lo sterminio delle società sacrali, degli ethoi tradizionali, è prescritto dal liberalismo per il "bene" stesso dell'uomo». Ed enumerò: per sradicare il Giappone dal proprio sacro nomos, non ci volle nulla di meno che l'olocausto nucleare. Migliaia di tonnellate di bombe furono necessarie per stroncare fascismo e nazismo, «forme di neo‑paganesimo che cercavano di ricollegare la società a un Ethos». E il Vietnam, la Guerra del Golfo, l'intervento «umanitario» in Somalia nel 1993.
«Non si faccia illusioni: anche contro la Chiesa non esiterà a usare la più inaudita violenza, se la Chiesa si rifiuta di diventare un semplice supporto della società borghese. Ciò che la Chiesa non può fare: perché il cristiano è necessariamente sovversivo di ogni potere politico che si pretenda autonomo. Già negli Stati Uniti si teorizza come l'Avversario irriducibile sia l'Islam. Anche contro la Chiesa il conflitto diverrà sempre più drammatico. Da una parte la Chiesa e l'Islam, e dall'altra una "etica" laicista sempre più occasionale, e nello stesso tempo sempre più radicalmente universale, nella sua pretesa di essere l'unica valida».
«Non si faccia illusioni: anche contro la Chiesa non esiterà a usare la più inaudita violenza, se la Chiesa si rifiuta di diventare un semplice supporto della società borghese. Ciò che la Chiesa non può fare: perché il cristiano è necessariamente sovversivo di ogni potere politico che si pretenda autonomo. Già negli Stati Uniti si teorizza come l'Avversario irriducibile sia l'Islam. Anche contro la Chiesa il conflitto diverrà sempre più drammatico. Da una parte la Chiesa e l'Islam, e dall'altra una "etica" laicista sempre più occasionale, e nello stesso tempo sempre più radicalmente universale, nella sua pretesa di essere l'unica valida».
Purtroppo credo abbia ragione, risposi. Forse viviamo davvero sull'orlo dei tempi ultimi. Sappiamo che cosa aspetta i credenti: la resistenza eroica al di là di ogni umana speranza, il martirio. La Chiesa lo sa: è scritto nella sua tradizione.
Fu allora che Cacciari lo disse. «II Papa deve smettere di fare il katéchon!». Poi, come pentito, precisò: «Voglio dire che lei, come cattolico, sa come finirà. Verrà l'Anticristo e trionferà, ma sarà sconfitto». (3)
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(1) Note sul famoso libro di Blondet
(2) Cfr. Maurizio Blondet, Gli "Adelphi" della dissoluzione, strategie culturali del potere iniziatico, Ed, Ares, Milano 1994, Pag. 5-13.
(3) Se c'è il sospetto che Cacciari sia un "iniziato", visto che si augura l'avvento dell'Anticristo, ci si chiede come possa poi scrivere articoli sulla rivista dell'Azione Cattolica "Segno nel Mondo"?!? E la domanda se la pongono anche gli stessi appartenenti alla A.C. giovani...
IL CATTOLICESIMO SISMATICO E' IN VATICANO?

di Don Francesco Ricossa - Fiorenza Licitra - 13/1
Centro Studi Opifice
Ordinato sacerdote da monsignor Lefebvre, Don Francesco Ricossa è superiore dell’Istituto Mater Boni Consilii, a Verrua Savoia, in provincia di Torino. Nel panorama italiano, rappresenta i cosiddetti “sedevacantisti”, sfavorevoli alle innovazioni apportate alla liturgia e alla dottrina, durante il Concilio Vaticano II, che non riconoscono l’autorità di chi vuol mantenere queste innovazioni, incluso Benedetto XVI.
L’intervista che segue è testimonianza del profondo scisma interno alla Chiesa, di cui pochi sanno, tra i tradizionalisti cattolici e i modernisti, sostenitori della democratizzazione ecclesiastica, di cui gli ultimi Papi sono eminenti sostenitori.
La Chiesa non può modernizzarsi perché la fede è immutabile?
«È così. Al contrario, l’eresia modernista ha, tra i suoi vari scopi, proprio quello di adattare la fede ai tempi moderni. È una concezione evoluzionistica della fede, che diviene prigioniera della storia, anziché derivare dalla trascendenza, da Dio che è la verità e la verità non muta. Il Concilio Vaticano II, facendo sue le istanze moderniste, ha aperto una profonda crisi dal momento in cui, in diversi testi del Concilio, ha fatto affermazioni contraddittorie o contrarie a quello che la Chiesa ha sempre insegnato. Si pone un problema di coscienza per il cattolico e allo stesso tempo un grandissimo dubbio: come può essere accaduta una cosa del genere? Ratzinger ha proposto un’ermeneutica della continuità proprio perché si rende conto che un cattolico non può affermare una rottura nell’insegnamento della Chiesa; al contempo, però, spiega e giustifica la continuità nella novità, il che non vuol dire altro che riconfermare la rottura.»
Questo perché resta una spiegazione sempre contingente?
«Esatto. Il tipo di giustificazione che lui dà è sempre ancorata allo storicismo. È l’idea dei riformatori per cui la tradizione è affermata ancora meglio oggi tornando a delle origini, che però sono fittizie. E’ stata fatta tabula rasa di qualche secolo di vita e insegnamento della Chiesa, considerati ormai come un periodo caduco e passato.»
C’è davvero alleanza tra giudaismo e cristianesimo?
«Bisogna vedere cosa si intende con il termine giudaismo. Se si intende la fede e la religione dei patriarchi e dei profeti nell’antica Legge, allora non c’è dubbio che il cristianesimo continui e porti a compimento quella fede; se invece per giudaismo intendiamo la dottrina dei farisei, che ha trionfato presso la maggior parte degli ebrei e che, quindi, attualmente è la vita religiosa, la dottrina, il pensiero della maggior parte degli ebrei di oggi, allora questa dottrina non ha in sé niente a che vedere con quella dei profeti, è anzi la nemica mortale del cristianesimo.
Gesù stesso, nel Vangelo, ricollegò spiritualmente i giudei che a Lui si oppongono - quelli che oggi continuano il giudaismo - a coloro che perseguitarono i profeti, rendendoli colpevoli di tutto il sangue versato da Abele fino a Lui. Quindi, tra l’una e l’altra realtà, c’è un contrasto insanabile. Recentemente, sull’Osservatore Romano, è apparso un articolo di Renzo Gattegna, il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, nel quale invita la Chiesa a dichiarare ufficialmente di rinunciare a ogni idea di convertire gli ebrei e persino di pregare per la loro conversione. Il rifiuto di Gesù Cristo persiste; lo scontro tra chi crede in Lui e chi lo nega è totale, non c’è una possibilità di accordo.»
Lei come giustifica l’intromissione e l’influenza ebraiche rispetto alla liturgia cristiana?
«Come si può tollerare, per l’appunto, che degli estranei alla religione cristiana pretendano insegnare ai cristiani come debbano pregare? E’ qualcosa di inaudito, ha ragione, ma si può comprendere solo tenendo conto dello strapotere – economico, politico, sociale e religioso- di cui gode attualmente il giudaismo. Ne vuole una prova? Sono gli unici che non possono essere criticati. Se poi a qualche ecclesiastico sfugge ancora una dichiarazione sgradita, non mancano i mezzi per intimidirlo. Non sono casuali le campagne diffamatorie per accusare la Chiesa di ogni sorta di crimine: dall’antigiudaismo dei Vangeli a quello dei Padri della Chiesa, dall’Inquisizione ai “silenzi” di Pio XII, per cui la Chiesa si sarebbe resa corresponsabile di duemila anni di delitti. Ma queste minacce, queste campagne diffamatorie non avrebbero alcun effetto se all’interno della Chiesa non ci fossero degli uomini che hanno delle idee incompatibili con la fede cattolica, che li rendono succubi nei confronti dei loro stessi nemici.»
Rendendo, di conseguenza, opinabile il dogma che perde di autorità?
«Non dicono esplicitamente che i dogmi sono opinabili, ma sostanzialmente così è. Per il modernismo il dogma è nominalmente mantenuto, ma interpretato in modo diverso. Un modernista non può essere l’autorità che è al servizio della Verità. L’autorità viene da Dio e questo in modo particolare nella Chiesa, che è una società sovrannaturale: il Papa governa in quanto vicario di Cristo, è Cristo che la governa con lui e per suo mezzo. Non è possibile quindi attribuire il cambiamento così profondo nella dottrina e nella tradizione della Chiesa, a Gesù Cristo stesso, non è possibile dunque che venga da una vera autorità quale è quella del Papa.»
A proposito, Papa Wojtyla è stato un vero modernizzatore, ha cioè fatto un grande male alla Chiesa, ed è stato anche grande fautore della globalizzazione…
«Sì, assolutamente. Da un punto di vista religioso, la globalizzazione prende l’aspetto di dialogo interreligioso. La religione, però, a questo punto diviene un fenomeno antropologico: viene solo dall’uomo, dal suo sentimento religioso.»
Non dall’alto, quindi?
«Ecco, appunto. La famosa riunione di Assisi - quando Giovanni Paolo II si è incontrato con i capi delle altre religioni per pregare per la pace, per un fine cioè secolarizzato – è stata solamente un rendere visibile l’idea che tutte le religioni sono buone perché in fondo vengono dalla stessa fonte, che è l’uomo.»
Papa Ratzinger sembrerebbe leggermente più ortodosso e, invece, anche lui…
«Ci sono delle differenze di sensibilità nella storia personale di ciascuno, ma nient’altro. Il problema reale non è una questione di persone (Roncalli, Montini, Wojtyla, Ratzinger); il problema reale è l’eresia modernista condannata da San Pio X e che ha trionfato al Concilio Vaticano II. Durante il Concilio, Joseph Ratzinger era un giovane teologo, perito del cardinale Frings, era cioè uno degli esponenti di quella “nouvelle théologie” che si proponeva di “abbattere i bastioni”: il Sant'Uffizio, la curia romana, la teologia tomista, il papato come era stato concepito fino ad allora. Tanto è vero che quando si discusse in aula della Collegialità - uno dei temi conciliari più importanti, poiché i modernisti intendevano ridiscutere i rapporti tra i vescovi e il Papa, a tutto vantaggio dei vescovi e a scapito dell’autorità del Papa, in una sorta di democratizzazione della Chiesa, uno dei teologi di punta dei novatori fu proprio Ratzinger. E quando Paolo VI cercò un compromesso, poiché un grande numero di Padri gli aveva scritto, asserendo che la nuova dottrina non era cattolica, Ratzinger si oppose a questo compromesso (la “nota praevia”) perché lo considerava un tradimento del Concilio. Era tra i più schierati in favore delle novità. Tale è rimasto, solo che gli altri sono andati oltre. I rivoluzionari degli anni ’60 spesso sono i conservatori di oggi.»
Cosa succederebbe tra i modernisti se ci fosse un vero Papa?
«La crisi attuale è la più grave della storia della Chiesa. Credo, però, che Dio ridarà alla Chiesa un’autorità e prego affinché chi oggi occupa la sede di Pietro, o un suo successore, possa essere veramente e legittimamente il Vicario di Cristo. Non fu Gesù Cristo a trasformare il fariseo Saulo, persecutore dei cristiani, nell’apostolo Paolo? Una simile conversione potrebbe succedere ancora, come e quando piacerà al Signore. Certo che, umanamente parlando, se un Pontefice, degno di questo nome, insegnerà di nuovo la Verità e condannerà l’errore, ci sarà uno scisma; ma in fondo questo scisma non esiste di già?»
Perché questo scisma non è stato proclamato ufficialmente?
«A causa delle caratteristiche proprie del modernismo: essere ciò un’eresia che vuole cambiare la Chiesa dall’interno. Lutero ad esempio rifiutò la dottrina della Chiesa, il Papa allora lo scomunicò, lui bruciò la bolla della scomunica, proclamando che la Chiesa era la prostituta di Babilonia e il Papa l’Anticristo. A quel punto uscì dalla Chiesa per fondare una “chiesa” evangelica o luterana. Il modernista, invece, vuole cambiare la Chiesa dal di dentro e, quindi, intende restarvi a tutti i costi. Come Mons. Primo Vannutelli, personaggio noto a pochi di cui parlo nella rivista Sodalitium, il quale in gioventù incorse in una sospensione a divinis poiché era coinvolto con i capi del modernismo, tra cui Buonaiuti. Per essere assolti, prestarono il giuramento antimodernista, incuranti dello spergiuro. Dopo la morte di Vannutelli però si venne a sapere che aveva lasciato un testamento spirituale in cui proclamava il suo amore per Gesù Cristo e per la Chiesa e nello stesso tempo confessava di non credere che Gesù fosse Dio; poco o nulla per lui distingueva il cristianesimo dalle altre due “religioni abramitiche”. Per questo San Pio X, il Papa che condannò il modernismo, disse che questi signori si nascondevano nel seno e nelle viscere stesse della Chiesa. Bisognerebbe espellere questi eretici come si estirpa un tumore, ma dato che occupano ormai le Sedi più alte, non possono certo cacciare se stessi.»
Il Concilio Vaticano II ha compartecipato al fatto che la Chiesa sia un’istituzione sempre più moralistica e sempre meno dottrinale?
«Sì, basta leggere il documento conciliare Gaudium et spes, sul rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno. Tuttavia, anche in materia morale c’è una decadenza enorme. Bisogna, perciò difendere il dogma come la morale, il Vero e il Bene, l’uno e l’altro. Se crediamo, ma viviamo in contraddizione con la nostra fede, non valiamo nulla; e se cerchiamo di vivere bene, ma non crediamo, non valiamo nulla. Purtroppo oggi la fede è considerata da molti come qualcosa di secondario: quando si pensa alla religione cattolica, si pensa alle opere benefiche, all’assistenza dei poveri, o ai nostri problemi esistenziali, piuttosto che al mistero della Trinità, dell’Incarnazione o della Redenzione. Per cui ha ragione: la Chiesa è vista oggi soprattutto come una istituzione moralistica e secolarizzata, e questo è dovuto alla perdita della fede ed al naturalismo diffuso.»
Una certa tradizione vuole che si guardi alla Chiesa Cattolica e alla sua "involuzione" quale presagio dei tempi che verranno. L'apoteosi , come negli spettacoli coreografici del XIX° secolo, ovvero la scena finale , presenterebbe, nel massimo fulgore, quale regina incontrastata l'apostasia, ovvero il ripudio della stessa religione cattolica.
gdg
Centro Studi Opifice
Ordinato sacerdote da monsignor Lefebvre, Don Francesco Ricossa è superiore dell’Istituto Mater Boni Consilii, a Verrua Savoia, in provincia di Torino. Nel panorama italiano, rappresenta i cosiddetti “sedevacantisti”, sfavorevoli alle innovazioni apportate alla liturgia e alla dottrina, durante il Concilio Vaticano II, che non riconoscono l’autorità di chi vuol mantenere queste innovazioni, incluso Benedetto XVI.
L’intervista che segue è testimonianza del profondo scisma interno alla Chiesa, di cui pochi sanno, tra i tradizionalisti cattolici e i modernisti, sostenitori della democratizzazione ecclesiastica, di cui gli ultimi Papi sono eminenti sostenitori.
La Chiesa non può modernizzarsi perché la fede è immutabile?
«È così. Al contrario, l’eresia modernista ha, tra i suoi vari scopi, proprio quello di adattare la fede ai tempi moderni. È una concezione evoluzionistica della fede, che diviene prigioniera della storia, anziché derivare dalla trascendenza, da Dio che è la verità e la verità non muta. Il Concilio Vaticano II, facendo sue le istanze moderniste, ha aperto una profonda crisi dal momento in cui, in diversi testi del Concilio, ha fatto affermazioni contraddittorie o contrarie a quello che la Chiesa ha sempre insegnato. Si pone un problema di coscienza per il cattolico e allo stesso tempo un grandissimo dubbio: come può essere accaduta una cosa del genere? Ratzinger ha proposto un’ermeneutica della continuità proprio perché si rende conto che un cattolico non può affermare una rottura nell’insegnamento della Chiesa; al contempo, però, spiega e giustifica la continuità nella novità, il che non vuol dire altro che riconfermare la rottura.»
Questo perché resta una spiegazione sempre contingente?
«Esatto. Il tipo di giustificazione che lui dà è sempre ancorata allo storicismo. È l’idea dei riformatori per cui la tradizione è affermata ancora meglio oggi tornando a delle origini, che però sono fittizie. E’ stata fatta tabula rasa di qualche secolo di vita e insegnamento della Chiesa, considerati ormai come un periodo caduco e passato.»
C’è davvero alleanza tra giudaismo e cristianesimo?
«Bisogna vedere cosa si intende con il termine giudaismo. Se si intende la fede e la religione dei patriarchi e dei profeti nell’antica Legge, allora non c’è dubbio che il cristianesimo continui e porti a compimento quella fede; se invece per giudaismo intendiamo la dottrina dei farisei, che ha trionfato presso la maggior parte degli ebrei e che, quindi, attualmente è la vita religiosa, la dottrina, il pensiero della maggior parte degli ebrei di oggi, allora questa dottrina non ha in sé niente a che vedere con quella dei profeti, è anzi la nemica mortale del cristianesimo.
Gesù stesso, nel Vangelo, ricollegò spiritualmente i giudei che a Lui si oppongono - quelli che oggi continuano il giudaismo - a coloro che perseguitarono i profeti, rendendoli colpevoli di tutto il sangue versato da Abele fino a Lui. Quindi, tra l’una e l’altra realtà, c’è un contrasto insanabile. Recentemente, sull’Osservatore Romano, è apparso un articolo di Renzo Gattegna, il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, nel quale invita la Chiesa a dichiarare ufficialmente di rinunciare a ogni idea di convertire gli ebrei e persino di pregare per la loro conversione. Il rifiuto di Gesù Cristo persiste; lo scontro tra chi crede in Lui e chi lo nega è totale, non c’è una possibilità di accordo.»
Lei come giustifica l’intromissione e l’influenza ebraiche rispetto alla liturgia cristiana?
«Come si può tollerare, per l’appunto, che degli estranei alla religione cristiana pretendano insegnare ai cristiani come debbano pregare? E’ qualcosa di inaudito, ha ragione, ma si può comprendere solo tenendo conto dello strapotere – economico, politico, sociale e religioso- di cui gode attualmente il giudaismo. Ne vuole una prova? Sono gli unici che non possono essere criticati. Se poi a qualche ecclesiastico sfugge ancora una dichiarazione sgradita, non mancano i mezzi per intimidirlo. Non sono casuali le campagne diffamatorie per accusare la Chiesa di ogni sorta di crimine: dall’antigiudaismo dei Vangeli a quello dei Padri della Chiesa, dall’Inquisizione ai “silenzi” di Pio XII, per cui la Chiesa si sarebbe resa corresponsabile di duemila anni di delitti. Ma queste minacce, queste campagne diffamatorie non avrebbero alcun effetto se all’interno della Chiesa non ci fossero degli uomini che hanno delle idee incompatibili con la fede cattolica, che li rendono succubi nei confronti dei loro stessi nemici.»
Rendendo, di conseguenza, opinabile il dogma che perde di autorità?
«Non dicono esplicitamente che i dogmi sono opinabili, ma sostanzialmente così è. Per il modernismo il dogma è nominalmente mantenuto, ma interpretato in modo diverso. Un modernista non può essere l’autorità che è al servizio della Verità. L’autorità viene da Dio e questo in modo particolare nella Chiesa, che è una società sovrannaturale: il Papa governa in quanto vicario di Cristo, è Cristo che la governa con lui e per suo mezzo. Non è possibile quindi attribuire il cambiamento così profondo nella dottrina e nella tradizione della Chiesa, a Gesù Cristo stesso, non è possibile dunque che venga da una vera autorità quale è quella del Papa.»
A proposito, Papa Wojtyla è stato un vero modernizzatore, ha cioè fatto un grande male alla Chiesa, ed è stato anche grande fautore della globalizzazione…
«Sì, assolutamente. Da un punto di vista religioso, la globalizzazione prende l’aspetto di dialogo interreligioso. La religione, però, a questo punto diviene un fenomeno antropologico: viene solo dall’uomo, dal suo sentimento religioso.»
Non dall’alto, quindi?
«Ecco, appunto. La famosa riunione di Assisi - quando Giovanni Paolo II si è incontrato con i capi delle altre religioni per pregare per la pace, per un fine cioè secolarizzato – è stata solamente un rendere visibile l’idea che tutte le religioni sono buone perché in fondo vengono dalla stessa fonte, che è l’uomo.»
Papa Ratzinger sembrerebbe leggermente più ortodosso e, invece, anche lui…
«Ci sono delle differenze di sensibilità nella storia personale di ciascuno, ma nient’altro. Il problema reale non è una questione di persone (Roncalli, Montini, Wojtyla, Ratzinger); il problema reale è l’eresia modernista condannata da San Pio X e che ha trionfato al Concilio Vaticano II. Durante il Concilio, Joseph Ratzinger era un giovane teologo, perito del cardinale Frings, era cioè uno degli esponenti di quella “nouvelle théologie” che si proponeva di “abbattere i bastioni”: il Sant'Uffizio, la curia romana, la teologia tomista, il papato come era stato concepito fino ad allora. Tanto è vero che quando si discusse in aula della Collegialità - uno dei temi conciliari più importanti, poiché i modernisti intendevano ridiscutere i rapporti tra i vescovi e il Papa, a tutto vantaggio dei vescovi e a scapito dell’autorità del Papa, in una sorta di democratizzazione della Chiesa, uno dei teologi di punta dei novatori fu proprio Ratzinger. E quando Paolo VI cercò un compromesso, poiché un grande numero di Padri gli aveva scritto, asserendo che la nuova dottrina non era cattolica, Ratzinger si oppose a questo compromesso (la “nota praevia”) perché lo considerava un tradimento del Concilio. Era tra i più schierati in favore delle novità. Tale è rimasto, solo che gli altri sono andati oltre. I rivoluzionari degli anni ’60 spesso sono i conservatori di oggi.»
Cosa succederebbe tra i modernisti se ci fosse un vero Papa?
«La crisi attuale è la più grave della storia della Chiesa. Credo, però, che Dio ridarà alla Chiesa un’autorità e prego affinché chi oggi occupa la sede di Pietro, o un suo successore, possa essere veramente e legittimamente il Vicario di Cristo. Non fu Gesù Cristo a trasformare il fariseo Saulo, persecutore dei cristiani, nell’apostolo Paolo? Una simile conversione potrebbe succedere ancora, come e quando piacerà al Signore. Certo che, umanamente parlando, se un Pontefice, degno di questo nome, insegnerà di nuovo la Verità e condannerà l’errore, ci sarà uno scisma; ma in fondo questo scisma non esiste di già?»
Perché questo scisma non è stato proclamato ufficialmente?
«A causa delle caratteristiche proprie del modernismo: essere ciò un’eresia che vuole cambiare la Chiesa dall’interno. Lutero ad esempio rifiutò la dottrina della Chiesa, il Papa allora lo scomunicò, lui bruciò la bolla della scomunica, proclamando che la Chiesa era la prostituta di Babilonia e il Papa l’Anticristo. A quel punto uscì dalla Chiesa per fondare una “chiesa” evangelica o luterana. Il modernista, invece, vuole cambiare la Chiesa dal di dentro e, quindi, intende restarvi a tutti i costi. Come Mons. Primo Vannutelli, personaggio noto a pochi di cui parlo nella rivista Sodalitium, il quale in gioventù incorse in una sospensione a divinis poiché era coinvolto con i capi del modernismo, tra cui Buonaiuti. Per essere assolti, prestarono il giuramento antimodernista, incuranti dello spergiuro. Dopo la morte di Vannutelli però si venne a sapere che aveva lasciato un testamento spirituale in cui proclamava il suo amore per Gesù Cristo e per la Chiesa e nello stesso tempo confessava di non credere che Gesù fosse Dio; poco o nulla per lui distingueva il cristianesimo dalle altre due “religioni abramitiche”. Per questo San Pio X, il Papa che condannò il modernismo, disse che questi signori si nascondevano nel seno e nelle viscere stesse della Chiesa. Bisognerebbe espellere questi eretici come si estirpa un tumore, ma dato che occupano ormai le Sedi più alte, non possono certo cacciare se stessi.»
Il Concilio Vaticano II ha compartecipato al fatto che la Chiesa sia un’istituzione sempre più moralistica e sempre meno dottrinale?
«Sì, basta leggere il documento conciliare Gaudium et spes, sul rapporto tra la Chiesa e il mondo moderno. Tuttavia, anche in materia morale c’è una decadenza enorme. Bisogna, perciò difendere il dogma come la morale, il Vero e il Bene, l’uno e l’altro. Se crediamo, ma viviamo in contraddizione con la nostra fede, non valiamo nulla; e se cerchiamo di vivere bene, ma non crediamo, non valiamo nulla. Purtroppo oggi la fede è considerata da molti come qualcosa di secondario: quando si pensa alla religione cattolica, si pensa alle opere benefiche, all’assistenza dei poveri, o ai nostri problemi esistenziali, piuttosto che al mistero della Trinità, dell’Incarnazione o della Redenzione. Per cui ha ragione: la Chiesa è vista oggi soprattutto come una istituzione moralistica e secolarizzata, e questo è dovuto alla perdita della fede ed al naturalismo diffuso.»
Una certa tradizione vuole che si guardi alla Chiesa Cattolica e alla sua "involuzione" quale presagio dei tempi che verranno. L'apoteosi , come negli spettacoli coreografici del XIX° secolo, ovvero la scena finale , presenterebbe, nel massimo fulgore, quale regina incontrastata l'apostasia, ovvero il ripudio della stessa religione cattolica.
gdg
" Stephen Hawking ci dice com'è nato l'universo. Ma non affronta il perchè."
Non c’è scienziato che possa negare l’esistenza di Dio. Stephen Hawking ci dice com’è nato l’universo. Ma non affronta il perché. Il fisico esclude Dio dall’origine del mondo: "È inutile". Così abbiamo la spiegazione della Vita senza il suo significato di Stefano Zecchi.Il Giornale

" Non c’è posto per Dio nella creazione dell’Universo. «La creazione spontanea è il motivo per cui c’è qualcosa e non il nulla, per cui l’Universo esiste, per cui noi esistiamo. Grazie alla legge di gravità, l’Universo può crearsi e si crea dal nulla. È inutile, perciò, chiamare in causa Dio per fargli toccare il cielo e fargli caricare la molla del meccanismo dell’Universo».
Queste tesi che pretendono di cancellare almeno tre millenni di filosofia e almeno un altro di pensiero sapienziale mitico-simbolico appartengono all’astrofisico inglese Stephen Hawking, esposte nel suo ultimo volume, tra alcuni giorni in libreria, The Grand Design (Il processo grandioso), di cui ieri il Times ha pubblicato in evidenza lunghi brani.
Hawking è uno scienziato di grande fama, noto anche al pubblico che non si interessa di astrofisica per la sua terribile disgrazia. Più di una volta lo si è visto in televisione con il suo povero corpo devastato da una malattia degenerativa del sistema nervoso che lo obbliga a muoversi su una sedia a rotelle e chi gli permette di comunicare solo attraverso un sintonizzatore.
Una decina d’anni fa, Hawking, nel suo libro Una breve storia del tempo, aveva sostenuto che non c’è incompatibilità tra un Dio creatore e la comprensione scientifica dell’universo. «Se arrivassimo a scoprire una teoria completa sarebbe il trionfo definitivo della ragione umana perché così avremo modo di conoscere la mente di Dio», aveva scritto nel libro appena ricordato, pubblicato nel 1998. Ma in quest’ultimo, The Grand Design, la tesi è radicale: non c’è bisogno di un Dio per capire la formazione dell’universo e della nostra presenza su questa Terra.
Se il grande astrofisico ricordasse un po’ della filosofia studiata nel primo anno di liceo non dimenticherebbe che una delle tesi più note del materialismo classico, che ha attraversato la cultura moderna (Karl Marx, per esempio, ne è un grande estimatore), è quella del greco Democrito. La sua teoria delle klinamen, spiegava l’origine del mondo dal contatto di particelle di materia, che si incontrano a causa di una determinata inclinazione, formando il Tutto, così a caso, senza un disegno divino: «Democrito che il mondo a caso pone», scrisse Dante nella Divina Commedia.
La storia del materialismo senza Dio è tanto vecchia quanto la sua confutazione. Ma Hawking intende offrirci una teoria scientifica incontrovertibile, di fronte alla quale si devono genuflettere coloro che credono ancora nella storiella di Dio che ha creato il mondo e l’uomo. Se il grande astrofisico Hawking ricordasse un po’ di filosofia classica, capirebbe che il problema non è la spiegazione dell’origine del mondo, ma il suo significato.
La spiegazione può fornirla la scienza, che ha comunque sempre la pretesa di dire l’ultima parola, come, appunto, è il caso de Il progetto grandioso. Ma gli uomini, che possiedono il lume della ragione, si chiedono qual è il significato del mondo, perché c’è il Tutto e non il Nulla, perché ci sono la vita e la morte. Si chiedono il perché del male all’uomo giusto: dall’antica e originaria domanda di Giobbe a Dio, alle grandi riflessioni filosofiche sulla teodicea, la questione non ha esaurito il mistero, quell’ignoto che guida l’uomo su questa terra alla ricerca del significato di verità che mai potrà raggiungere, proprio come l’orizzonte che si muove insieme a lui.
Hawking è costretto su una sedia a rotelle, parla grazie alla tecnologia: ha tutte le spiegazioni della sua malattia, fornitegli dalla scienza. Ma la scienza medica non gli dirà mai perché proprio lui è stato colpito dal male e quale significato ha la sua sofferenza per il male. Forse Hawking, come Giobbe, avrà domandato a Dio il perché del male a un giusto.
Questo desiderio di comprendere il disegno di Dio è fortissimo in Hawking, come, tra l’altro, è testimoniato dal passo sopra citato dal suo libro del 1998. In questa ultima opera, Il progetto grandioso, Hawking ricorda la scoperta, nel 1992, di un pianeta che orbita intorno a una stella simile alla Terra intorno al Sole. Ciò conferma, a suo giudizio, che il caso terrestre non è unico. Ora, considerando che è altamente probabile che non solo esistano altri pianeti simili alla Terra ma addirittura altri universi, Hawking si chiede: se Dio avesse voluto creare l’universo allo scopo di creare l’uomo, che senso avrebbe avuto aggiungere tutto il resto?
Appunto: che senso, qual è il significato dell’universo, dell’uomo? La ricerca scientifica tenta (ha sempre tentato) di chiudere in una gabbia quel fastidioso, scientificamente inopportuno significato e di buttare via la chiave. Ma finché esisterà l’uomo, quella gabbia non potrà mai essere chiusa, perché finché esisterà, l’uomo, che ha lume di ragione, non rinuncerà a domandarsi il significato della vita e della morte, del male e della bellezza."
Ho riporto qui l'articolo di Stefano Zecchi per alcuni motivi. Il primo: Hawking non ci dice come è nato l'universo. Il fisico inglese ci dice invece che Dio non è l'artefice della creazione perchè esiste la gravità. Vale a dire Hawking ci chiede di scegliere tra Dio e le leggi della fisica , come se fra loro ci fosse un conflitto insanabile. Il suo appello a noi per scegliere tra Dio e la fisica è un po ' come se qualcuno ci chiedesse di scegliere tra l'ingegnere aeronautico Sir Frank Whittle e le leggi della fisica per spiegare il motore a reazione ( Questo esempio è di John Lennox ).
Viene da pensare che le leggi della fisica per lo studioso inglese hanno preso il posto di Dio: non servono solo a descrivere l'universo ma ne sono le facitrici. Divertente vero?
Il secondo motivo: Hawking erede di Einstein ? Una esagerazione " editoriale " tutta anglosassone quantomeno sul piano dell'intelligenza del cuore.
" Come si può mettere la Nona di Beethoven in un diagramma cartesiano? Ci sono delle realtà che non sono quantificabili. L'universo è pervaso tutto dal mistero. Chi non ha il senso del mistero è un uomo mezzo morto " Albert Einstein
gdg
Queste tesi che pretendono di cancellare almeno tre millenni di filosofia e almeno un altro di pensiero sapienziale mitico-simbolico appartengono all’astrofisico inglese Stephen Hawking, esposte nel suo ultimo volume, tra alcuni giorni in libreria, The Grand Design (Il processo grandioso), di cui ieri il Times ha pubblicato in evidenza lunghi brani.
Hawking è uno scienziato di grande fama, noto anche al pubblico che non si interessa di astrofisica per la sua terribile disgrazia. Più di una volta lo si è visto in televisione con il suo povero corpo devastato da una malattia degenerativa del sistema nervoso che lo obbliga a muoversi su una sedia a rotelle e chi gli permette di comunicare solo attraverso un sintonizzatore.
Una decina d’anni fa, Hawking, nel suo libro Una breve storia del tempo, aveva sostenuto che non c’è incompatibilità tra un Dio creatore e la comprensione scientifica dell’universo. «Se arrivassimo a scoprire una teoria completa sarebbe il trionfo definitivo della ragione umana perché così avremo modo di conoscere la mente di Dio», aveva scritto nel libro appena ricordato, pubblicato nel 1998. Ma in quest’ultimo, The Grand Design, la tesi è radicale: non c’è bisogno di un Dio per capire la formazione dell’universo e della nostra presenza su questa Terra.
Se il grande astrofisico ricordasse un po’ della filosofia studiata nel primo anno di liceo non dimenticherebbe che una delle tesi più note del materialismo classico, che ha attraversato la cultura moderna (Karl Marx, per esempio, ne è un grande estimatore), è quella del greco Democrito. La sua teoria delle klinamen, spiegava l’origine del mondo dal contatto di particelle di materia, che si incontrano a causa di una determinata inclinazione, formando il Tutto, così a caso, senza un disegno divino: «Democrito che il mondo a caso pone», scrisse Dante nella Divina Commedia.
La storia del materialismo senza Dio è tanto vecchia quanto la sua confutazione. Ma Hawking intende offrirci una teoria scientifica incontrovertibile, di fronte alla quale si devono genuflettere coloro che credono ancora nella storiella di Dio che ha creato il mondo e l’uomo. Se il grande astrofisico Hawking ricordasse un po’ di filosofia classica, capirebbe che il problema non è la spiegazione dell’origine del mondo, ma il suo significato.
La spiegazione può fornirla la scienza, che ha comunque sempre la pretesa di dire l’ultima parola, come, appunto, è il caso de Il progetto grandioso. Ma gli uomini, che possiedono il lume della ragione, si chiedono qual è il significato del mondo, perché c’è il Tutto e non il Nulla, perché ci sono la vita e la morte. Si chiedono il perché del male all’uomo giusto: dall’antica e originaria domanda di Giobbe a Dio, alle grandi riflessioni filosofiche sulla teodicea, la questione non ha esaurito il mistero, quell’ignoto che guida l’uomo su questa terra alla ricerca del significato di verità che mai potrà raggiungere, proprio come l’orizzonte che si muove insieme a lui.
Hawking è costretto su una sedia a rotelle, parla grazie alla tecnologia: ha tutte le spiegazioni della sua malattia, fornitegli dalla scienza. Ma la scienza medica non gli dirà mai perché proprio lui è stato colpito dal male e quale significato ha la sua sofferenza per il male. Forse Hawking, come Giobbe, avrà domandato a Dio il perché del male a un giusto.
Questo desiderio di comprendere il disegno di Dio è fortissimo in Hawking, come, tra l’altro, è testimoniato dal passo sopra citato dal suo libro del 1998. In questa ultima opera, Il progetto grandioso, Hawking ricorda la scoperta, nel 1992, di un pianeta che orbita intorno a una stella simile alla Terra intorno al Sole. Ciò conferma, a suo giudizio, che il caso terrestre non è unico. Ora, considerando che è altamente probabile che non solo esistano altri pianeti simili alla Terra ma addirittura altri universi, Hawking si chiede: se Dio avesse voluto creare l’universo allo scopo di creare l’uomo, che senso avrebbe avuto aggiungere tutto il resto?
Appunto: che senso, qual è il significato dell’universo, dell’uomo? La ricerca scientifica tenta (ha sempre tentato) di chiudere in una gabbia quel fastidioso, scientificamente inopportuno significato e di buttare via la chiave. Ma finché esisterà l’uomo, quella gabbia non potrà mai essere chiusa, perché finché esisterà, l’uomo, che ha lume di ragione, non rinuncerà a domandarsi il significato della vita e della morte, del male e della bellezza."
Ho riporto qui l'articolo di Stefano Zecchi per alcuni motivi. Il primo: Hawking non ci dice come è nato l'universo. Il fisico inglese ci dice invece che Dio non è l'artefice della creazione perchè esiste la gravità. Vale a dire Hawking ci chiede di scegliere tra Dio e le leggi della fisica , come se fra loro ci fosse un conflitto insanabile. Il suo appello a noi per scegliere tra Dio e la fisica è un po ' come se qualcuno ci chiedesse di scegliere tra l'ingegnere aeronautico Sir Frank Whittle e le leggi della fisica per spiegare il motore a reazione ( Questo esempio è di John Lennox ).
Viene da pensare che le leggi della fisica per lo studioso inglese hanno preso il posto di Dio: non servono solo a descrivere l'universo ma ne sono le facitrici. Divertente vero?
Il secondo motivo: Hawking erede di Einstein ? Una esagerazione " editoriale " tutta anglosassone quantomeno sul piano dell'intelligenza del cuore.
" Come si può mettere la Nona di Beethoven in un diagramma cartesiano? Ci sono delle realtà che non sono quantificabili. L'universo è pervaso tutto dal mistero. Chi non ha il senso del mistero è un uomo mezzo morto " Albert Einstein
gdg